Suicida in carcere, sì a processo:
«Soccorsi non idonei e in ritardo»

Suicida in carcere, sì a processo: «Soccorsi non idonei e in ritardo»
di Nicola Sorrentino
Domenica 21 Ottobre 2018, 13:29
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SARNO - Morì il 19 giugno 2013 nel carcere di Secondigliano, nella struttura dell’ospedale psichiatrico giudiziario dov’era ricoverato. Prima era stato in cura a Villa Chiarugi a Nocera Inferiore e presso l’opg di Aversa. Era riuscito a soffocarsi tramite impiccaggione, nonostante un tentativo di salvataggio avvenuto poco dopo. Il giudice ha mandato a processo due persone, un medico ed una guardia penitenziaria in servizio presso la medesima struttura, dopo una richiesta di archiviazione della procura. La vittima è Aniello Esposito. In qualità di detenuto, l'uomo era segnalato come responsabile potenziale di “eventi critici”, quali aggressioni, danneggiamenti, resistenza e ferimenti ed episodi di eterolesionismo. «Dalle indagini espletate è emerso che il decesso è stato causato da un atto volontario mediante impiccagione». Rispetto a questa conclusione, dopo una richiesta di archiviazione e una opposizione presentata dal legale dei familiari dell’uomo, Vincenzo Calabrese, il giudic ha deciso per il processo. L'uomo era collocato nella quinta sezione detentiva. Quel giorno di 5 anni fa, fu notato mentre tentava di impiccarsi, durante il giro del vitto serale. L'assistente che si accorse dell'episodio avvertì la sorveglianza generale. Esposito stava tentanto di uccidersi con i pantaloni del pigiama usati come cappio. Fu liberato con l'aiuto di un secondo infermiere, che notò il battito lieve, un respiro affanoso, gli occhi semichiusi e uno stato privo di coscienza. Sul posto giunse anche il medico di guardia, che prese atto della situazione per poi tornare al piano terra, non avendo con se le attrezzature necessarie in quanto allertato con un "avviso generico" ricevuto telefonicamente

La morte di Esposito sopraggiunse poco dopo. Il processo è istruito al tribunale di Napoli. La vittima fu visitata alle 18 e dopo 40 minuti, morì. Esposito soffriva di patologie psichiatriche che ne inificiavano la libera autodeterminazione, da epilessia e insufficienza mentale con disturbo psicotico. La parte civile, nella sua opposizione, aveva ravvisato ipotesi ben più gravi di cooperazione in omicidio colposo e abbandono di persona incapace, senza ottenere risultati. Erano le prime formali accuse. Ma da indagini difensive è emerso che "non fu prestato tempestivo e idoneo soccorso, con i soggetti tenuti e obbligati a impedire il verificarsi della morte dell'internato. A fronte di imminente pericolo di vita, il personale sanitario e di vigilanza penitenziaria in una struttura specializzata, con soggetti portatori di patologie psichiatriche, dopo aver inutilmente indugiato, omise di chiedere ausilio di altro personale per un idoneo trattamento salvavita". Tradotto: il defibrillatore arrivò solo a decesso avvenuto. I due imputati sono accusati di negligenza, imperizia e violazione di regolamenti di soggetti titolari di specifiche posizioni di garanzia. Nonostante Esposito fosse un paziente in regime "di grande sorveglianza custodiale per scongiurare atti autolesionistici e tentativi autosoppressivi" morì perchè i soccorsi non sarebbero stati adeguati, nè tempestivi. Il processo dirà la verità.
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