Le intercettazioni del giudice corrotto: «Una soluzione la trovo sempre, ci vuole una toga aggarbata»

Le intercettazioni del giudice corrotto: «Una soluzione la trovo sempre, ci vuole una toga aggarbata»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 12 Dicembre 2017, 10:05 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 08:49
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È tutto un «io ci ho provato», oppure «una soluzione la troviamo sempre», magari alla ricerca di un altro giudice, purché sia «aggarbato».

Eccolo al telefono, mentre dialoga con amici e parenti, mentre ragiona su fascicoli che pesano, che grondano soldi, a giudicare dal volume di interessi che si snoda tra le sezioni civili e le commissioni tributarie.

Sempre disponibile, almeno così si propone al telefono, o nella infinita trama di messaggi via whatsapp, una sorta di centrale di contatti che contano nella Salerno che conta. Eccolo al telefono, il giudice Mario Pagano, che sembra farsi in quattro quando lo chiama un amico (a volte anche magistrati di spessore o politici di rilievo nazionale), o quando si fa vivo un papà in apprensione per la figlia che deve sostenere un esame all'università. Ed è così che a sfogliare l'ordinanza dl gip Toscano che lo tiene ai domiciliari, si leggono frasi del tipo «Mario puoi chiamare l'ex magnifico?», proprio a proposito di cose che non hanno alcuna attinenza ai processi, ma che bastano da sole a far emergere la centralità dell'ex magistrato del Tribunale di Salerno.

Due le aree di interesse - qualcuno potrebbe dire core business - per Mario Pagano, vale a dire i contenziosi civili e i fascicoli della Tributaria. È il 27 luglio del 2012, quando si ragiona sull'assegnazione di un processo delicato in una delle sezioni del Tribunale di Salerno. Al telefono dialogano Pagano e il cognato Montone, si ragiona della possibilità di assegnare il fascicolo a un «giudice aggarbato». Alla richiesta di Montone, i due concordano su un punto: «Ora la causa sta davanti a un altro giudice, non preoccuparti che un giudice aggarbato lo troviamo». Ma sono decine i contatti di questo tipo.
 
Difeso dal penalista napoletano Claudio Botti, Mario Pagano avrà modo di replicare alle accuse nel corso dell'interrogatorio di garanzia che si terrà nei prossimi giorni. E torniamo alla mole di intercettazioni telefoniche, ambientali, alla trama di mail e messaggi presenti agli atti. C'è un intero filone delle indagini che riguarda i rapporti tra il magistrato Mario Pagano e la got di Salerno Augusta Villani, che avrebbe svolto un ruolo ritenuto sospetto nella raccolta di informazioni all'interno della Palazzo di giustizia di Salerno. Quanto basta a spingere il gip ad insistere su un concetto in particolare, a proposito di esigenze cautelari: «Mario Pagano va fermato, continua a svolgere la sua attività di giudice», c'è un pericolo costante di inquinamento probatorio. Ma torniamo alle conversazioni finite nella maglia delle intercettazioni. C'è un caso che salta agli occhi e riguarda il procedimento giudiziario su una casa di cura, la Materdomini, che finisce al centro di un contenzioso. Arriva una telefonata, Pagano incassa le perplessità del suo interlocutore e si limita a replicare con un laconico «io ci ho provato».

A cosa fa riferimento questa espressione? È probabile che il giudice salernitano si riferisse a un verdetto positivo espresso durante il giudizio di primo grado, un provvedimento che avvantaggiava uno dei suoi amici interlocutori, sorpassato però da un giudizio di appello. E allora: «Io ci ho provato», ribadisce il magistrato al telefono. Parole che spesso non hanno alcun riscontro concreto rispetto ai fascicoli trattati, che fanno emergere una disponibilità formale più che sostanziale, su cui il gip di Napoli non ha avuto però alcuna esitazione a firmare provvedimenti restrittivi. Anzi. Stando al gip Toscano, il giudice Mario Pagano viene indicato come «Promotore e organizzatore di un gruppo che ha messo in atto un sistema per interferire illecitamente nell'esercizio di funzioni pubbliche piegandole al perseguimento di interessi particolari». Insomma, «vantava amicizie influenti e le sfruttava», secondo la ricostruzione finita ieri agli atti.

Ed è in questo scenario, che Pagano si sarebbe messo all'opera per condizionare contenziosi, per firmare sentenze favorevoli al proprio gruppo di conoscenti (è l'accusa che lo tiene ai domiciliari), o per veicolare fascicoli a magistrati amici, morbidi, o semplicemente ignari di essere finiti al centro di un chiacchiericcio nevrotico. Ed è in quest'ottica, che si legge agli atti l'espressione «una soluzione la troviamo sempre», che sembra essere stato il mantra di un modo di essere e di lavorare su cui ora si abbattono le censure della Procura di Napoli, con tanto di riflettori accesi da parte del ministro della giustizia.
 
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