Addio a padre Claudio, il ricordo
del direttore del festival di Giffoni

Addio a padre Claudio, il ricordo del direttore del festival di Giffoni
di Claudio Gubitosi
Mercoledì 16 Gennaio 2019, 20:47
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Ieri mattina a Milano, mi è arrivata una telefonata molto presto del Presidente del Festival Piero Rinaldi. Lo conosco bene, e il suo tono e anche una certa prevenzione verso ciò che mi doveva dire erano certamente il presagio di una tragedia che di lì a poco si sarebbe materializzata. La notizia della scomparsa di Padre Claudio mi ha molto turbato, rattristato e depresso, pur sapendo che lui, che conoscevo da sempre, era avanti con gli anni ed avrebbe potuto darmi qualche dispiacere. Ho cercato in tutti i modi, stamattina, di mettere ordine nella mia testa e nel mio cuore, e anche di affidarmi a lui per tutti gli impegni che questa giornata mi riservava, anche molto importanti. Ovvero discutere di Giffoni nel momento in cui il mio cuore era buio. E devo dire che, affidandomi a lui, ho trovato la forza. Adesso che sto scrivendo questa nota non so sinceramente cosa dire e da dove cominciare, per la complessità della figura di Padre Claudio. Per la capacità che ha avuto di essere nello stesso tempo religioso, sacerdote, amico e fratello, oltre naturalmente mio collaboratore in quella grande avventura che è il Giffoni Film Festival. Pochi giorni fa abbiamo avuto, noi di Giffoni, due momenti importanti con lui. Non so perché - e non ho voglia di spiegarmelo - l’ho chiamato prima di Natale per invitarlo a celebrare con noi le feste con tutto il team di Giffoni. Negli anni passati non lo avevo fatto. Alla domanda di invito, “vieni?”, lui mi ha risposto “vengo con l’abito”. Perché lui capiva bene quando doveva essere l’amico e l’uomo e quando, invece, fare il sacerdote.
L’abito per lui era l’espressione più alta francescana, il mediatore di pensieri, il porto sicuro dove poterti rifugiare. Prima di Natale è venuto a Giffoni con l’abito e ad un certo punto, con tutto il team nella Sala Truffaut gli chiesi, da sacerdote, di farci una benedizione. Sarebbe stato spontaneo per un uomo di Chiesa alzarsi e procedere. E invece lui guarda tutti negli occhi e dice: «se lo volete». Un’altra frase che oggi leggo con tanto peso. E adesso arriviamo al 5 di gennaio, quando è stato per un giorno intero nel mio ufficio a discutere, a parlare, a programmare, a immaginare il percorso dei 50 anni di Giffoni, e ad essere estremamente riluttante ogni volta che gli dicevo: «quest’anno compi 80 anni, cosa dobbiamo fare?». E lui, «poi si vede, poi si vede». Siamo stati un giorno intero a pensare, a parlare e perché no, a mantenere in vita la tradizione di farci una partita a carte anche con Piero Rinaldi. Siamo rimasti che ci aggiornavamo. Mai potevo immaginare un aggiornamento così terribile. Padre Claudio lo conosco da quando avevo dieci anni, parliamo degli anni ’60. Al convento dei Cappuccini di Giffoni negli anni ’70 nasce l’idea del Festival. Io ho lui vicino, critico, ma generosamente entusiasta. Il primo “lavoro” fu quello di dare un senso, un valore, alle giurie. Il numero cresceva e non sapevamo dove sistemarli. Fu lui a telefonare a tutte le famiglie di Giffoni e anche dei comuni vicini, per incitarli - ma che dico - implorarli di ospitare i ragazzi italiani che incominciavano ad approdare a Giffoni. Era persuasivo, convincente. Qualche anno dopo, visto il successo della scommessa che aveva messo in cantiere, si inventa uno slogan: «Regalate una gioia ai vostri figli». Accogliete un ragazzo che non conoscete, e fatelo incontrare con i vostri figli. Se ci pensiamo, questo è stato uno dei primi processi di integrazione con lo straniero, con la persona che non si conosce. E credo pure che la diversità di essere monaco e francescano, non chiuso in un convento, abbia anticipato di decenni l’invito che Papa Francesco ha fatto a tutti di uscire per le strade, di parlare alla gente. Ecco, io non so di preciso cosa potremmo sintetizzare in Padre Claudio, perché è stato tutto. Gli piaceva il contatto quotidiano con la gente. Tempo fa mi telefonò - e si sentiva la sua forza - dicendomi: «Sono vice parroco a Salerno in una parrocchia». Voleva farmi capire che gli anni passavano, ma lui era pronto a tutte le sfide, anche fisiche. Lui non ha risparmiato niente, le cronache ci diranno che è stato cappellano universitario, che ha insegnato nelle scuole, che ha diretto settimanali e televisioni, ma si è messo anche nei treni per accompagnare i malati a Lourdes o Medjougorje. Ogni tappa era un rosario che lui portava a me e ai suoi amici. Era un racconto, una storia. La mia vita con lui - perché di vita dobbiamo parlare - è stata generosa, luminosa, anche quando le nostre strade non si sono più incontrate. Non accettava più di non capire il processo di crescita di Giffoni. E qui, spesso, la mediazione dell’altro grande amico, mio e del Festival, Giuseppe Blasi, era determinante per calmare la sua paura di immaginare un non-futuro per Giffoni. Non per lui, ma per tutti noi. Peppe era più aperto alle visioni, e molto responsabile. Lo ascoltava, e, spesso, ubbidiva. Padre Claudio ci teneva molto a far vedere che lui c’era, che era presente nella storia del Festival. Arrivava perfino a provare sintonie con Giffoni nelle omelie domenicali. Ha servito a tavola al convento i primi ospiti del Festival. Ha convinto i responsabili del convento ad aprirci e ad aprirsi, e pur in una crescita ormai così forte di Giffoni, ha capito che non si doveva mettere da parte ma che doveva trovare una nuova identità per promuovere i valori di Giffoni. Non è stato facile. Soprattutto quando gli dicevo “vieni, ma non con l’abito, perché proprio io e te dobbiamo esaltare, salvaguardare l’unicità di Giffoni, e anche le diverse culture e religioni che approdano qui”. E così, piano piano, siamo arrivati a quella “francescana perfetta letizia”, nella quale ognuno si riconosceva e si esprimeva. Negli ultimi anni ho chiesto a Raffaele Budetti di Lira TV di aprire uno spazio durante il Festival per lui, per le sue riflessioni sempre profonde. Padre Claudio studiava, pensava, immaginava, sognava, e mi stupì il fatto che spesso si presentava con un mazzo di fogli, piegati alla meglio, che uscivano dalla sua tasca, con tante profonde riflessioni sul tema dell’anno del Festival. E’ stato il primo “ufficio stampa” di Giffoni. Adesso parliamo di comunicati, di social. Prima stampavamo con un ciclostile i bollettini informativi. Lui era il capo della redazione. Con tanti ragazzi e ragazze alle prime armi che raccontavano in un modo semplice ciò che a Giffoni succedeva. Ricordo un primo comunicato dove esaltava la precisione e l’organizzazione di Giffoni: “come un orologio svizzero questa mattina è successo questo a Giffoni.” Ho cercato di scorrere nelle pieghe delle foto, dei momenti personali, dei bisticci, dei pranzi o delle cene, di quelle partite durante le quali voleva solo vincere. Di quando imparò a suonare la chitarra, per una messa più vicina ai giovani. Io suonavo l’organo. E adesso? Il disegno divino non può essere messo in discussione. Pochi giorni fa abbiamo deciso di vederci a Roma, da un uomo eccezionale, serio, competente, Angelo Scelzo, amico del Festival, per iniziare il percorso per la visita del Papa a Giffoni. Ci teneva tantissimo. Mi ha pure minacciato, “non andare a Roma senza di me”. Caro Angelo, abbiamo perso entrambi un grande uomo, un vero, un onesto amico, e un sacerdote. Caro Padre Claudio… Adesso i sogni sono svaniti? Celebrerai in un altro modo i tuo 80 anni? Aspettavi tanto il 2020 e questo Peppe Blasi, Angelo Scelzo e l’altro comune amico, Alfonso Andria, lo sanno. Ti celebreremo durante un evento per tributare a te il massimo riconoscimento per aver creduto dal primo momento a quei ragazzi che hanno fatto l’impresa. Ti abbraccio, anche a nome di tutto il mio team.
 
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