La sirena che placa l'ardore del Vesuvio (e dei napoletani)

La sirena che placa l'ardore del Vesuvio (e dei napoletani)
di Vittorio Del Tufo
Domenica 14 Ottobre 2018, 16:54
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«Angelo o Sirena, cosa importa se tu - fata dagli occhi di velluto, ritmo, luce, profumo,o mia sola regina! - mi rendi meno ripugnante l'universo, meno grevi gli istanti?» (Charles Baudelaire, Inno alla bellezza).

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La donna-uccello spegne il fuoco con l'acqua che le sgorga dai seni. Il suo aspetto, per nulla rassicurante, è quello di un mostrum, busto e testa di donna, zampe e ali di uccello. La primitiva Sirena, alata e senza la classica coda da pesce, è raffigurata come un'arpia ma ha il potere di mitigare gli ardori del vulcano. O forse dei napoletani. E infatti Dum Vesevi Syerena Incendia Mulcet (la sirena mitiga l'ardore del Vesuvio) è la scritta riportata in una targa di marmo, ormai perduta, che si trovava sulla Fontana della Spinacorona, o «delle zizze», addossata alla chiesa di Santa Caterina della Spina Corona, in via Giuseppina Guacci Nobile (vicino a piazza Nicola Amore).
Quanta storia, quanto mito e quante simbologie esoteriche in questa fontana la cui presenza è attestata per la prima volta in un documento del 1498 relativo alla distribuzione idrica in città: la Platea delle acque. In realtà le origini della fontana Spina Corona (l'originale: quella che si trova ancora oggi addossata alle mura della chiesa è una copia) si perdono nella notte dei tempi. I tempi, forse, del mitico fiume Sebeto, che scorreva anticamente nel sottosuolo della città e probabilmente alimentava con le sue misteriose acque il pozzo di San Marcellino, che sorgeva nella stessa area della fontana della Sirena alata. Anche la chiesa di Spina Corona, che in origine era denominata dei Trinettari perché qui si concentravano i maggiori artigiani e mercanti di seta che lavoravano merletti e trine per il regno, ha origini antichissime. Fu eretta, nel 1354, per volere dei nobili del Seggio del Nilo, e restaurata più volte. È detta della «Spina Corona» perché si credeva che custodisse, fin dai tempi degli Angioini, una spina della Corona di Cristo.
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Memorie di vite passate. In mezzo a tanta nebbia, l'unica certezza è che fu il famoso, e fumantino, vicerè spagnolo don Pedro de Toledo, nel 1532, a volere il restauro della fontana. Don Pedro, che amava fare le cose in grande, si rivolse per il restyling all'architetto e scultore Giovanni Merliano da Nola. Era, costui, un'autentica archistar dei suoi tempi. Basti ricordare che molte sue opere sono tuttora conservate nelle chiese più famose di Napoli, che progettò molti edifici tra cui il Palazzo Giusso e il Palazzo di Sangro, e che lo stesso sepolcro del viceré Pedro de Toledo (e della viceregina Maria Ossorio Pimentel) situato nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, porta la sua firma.
E così la fontana «delle zizze» assume l'aspetto che oggi conosciamo. E diventa un luogo della memoria, con i suoi fregi geometrici, la sua vasca rettangolare e i suoi continui riferimenti alla musica, al canto, all'armonia. Quando, tempo fa, l'Uovo di Virgilio chiese al maestro Roberto De Simone di suggerire un'immagine che potesse illustrare il testo della canzone Michelemmà, il grande esperto di tradizioni popolari non ebbe dubbi: scegliete, disse, la Fontana Spina Corona, con i suoi numerosi simboli riconducibili alla dea-Sirena: antica divinità-uccello, dea del mare, del canto, della musica e del presagio. Ma proviamo a penetrare i significati simbolici ed esoterici custoditi nella scultura. Il seno, innanzitutto: portatore di abbondanza, prosperità, benessere, felicità, salute. E poi Partenope che versa dalle sue mammelle il latte per spegnere il fuoco del Vesuvio, sulle cui falde sono scolpiti un violino e delle lingue di fuoco. A quanto pare don Pedro non aveva dubbi: toccava alla Sirena alata fermare l'eruzione del vulcano. «Forse - suggeriscono Valerio Ceva Grimaldi e Maria Franchini in Napoli insolita e segreta - don Pedro non sapeva più quale santo pregare, in un periodo in cui San Gennaro non aveva ancora placato il vulcano coni suoi poteri, il culto di Virgilio si era ormai affievolito e la Madonna non aveva compiuto fino ad allora miracoli in merito». Nel suo libro Napoli esoterica e misteriosa Martin Rua propone anche una lettura più politica: «Nell'idea del viceré, che volle appunto restaurarla, la dolcezza del canto della sirena avrebbe dovuto moderare non solo gli ardori del vulcano, ma anche quelli dei napoletani.

Laura Miriello, studiosa napoletana esperta di tradizioni esoteriche, ha sostenuto che in passato i napoletani attribuissero alla fontana poteri magici legati proprio all'acqua che vi sgorgava, derivante dalla confluenza di tre fiumi sotterranei, tra cui il Sebeto. In tempi remoti, nell'area ove sorge la Fontana delle Zizze, potrebbe essersi sviluppato un culto iniziatico dedicato alle arpie, che come le sirene avevano volto di donna e corpo di rapace. Un rito che potrebbe essere stato riscoperto dai monaci-cavalieri del Tempio, che da quelle parti avrebbero abitato.
Lac Virginis, latte salvifico, latte che scorre nella città del sangue. Il liquido che sgorga dal seno di Partenope è dunque in grado di mitigare persino le fiamme più temibili. Un'immagine fortemente simbolica che richiama quella della Vergine che spande latte dai seni, appartenente all'iconografia cristiana. Ma i rimandi non si fermano qui. Come spiega Sigfrido Höbel in Misteri partenopei, il concetto di Lac Virginis «è ben noto agli studiosi della tradizione ermetica, che lo conoscono anche come Mercurio dei Filosofi, definizione con la quale gli antichi filosofi alludevano all'energia fecondatrice dell'universo».

L'originale statuetta della sirena dagli anni venti del XX secolo è custodita presso il Museo nazionale di San Martino, mentre come sua sostituta vi è una sua identica copia, riprodotta e scolpita da Achille D'Orsi.

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C'è stato un tempo, molti secoli prima che il piccone del Risanamento ne stravolgesse la fisionomia, in cui il groviglio di vicoli tutt'intorno la fontana di Spina Corona era un'area di insediamento ebraico, la più estesa è importante della città. In un documento del 1153 si parla dell'istituzione di una sinagoga nella zona dove oggi sorge la fontana della Sirena alata. Inoltre verso la metà del secolo XIII, in età sveva, la giudecca di San Marcellino, sull'altura di Monterone, si era estesa fino alla Piazza di Portanova, indicata anche come Porta Iudaica, presso l'antica chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Sorgeva così la Giudecca di Portanova e con essa anche una nuova sinagoga, proprio la futura chiesa di Santa Caterina Spina Corona. La Giudecca di Portanova è stata la più estesa delle giudecche napoletane: gli ebrei vi impiantarono, fin dal periodo svevo, varie attività connesse alla lavorazione e al commercio dei tessuti. Verso la metà del XV secolo, sotto la dominazione aragonese, che fu particolarmente favorevole agli ebrei, la Giudecca di Portanova crebbe notevolmente estendendosi per un'intera strada, via Giudecca Grande, che iniziava da Piazza Portanova e proseguiva fino alla chiesa di San Giovanni in Corte. Memorie di vite passate, frammenti di una toponomastica dei ricordi.
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