Scendere in strada è un rito liberatorio

Scendere in strada è un rito liberatorio
Martedì 24 Aprile 2018, 12:30
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Tra le varie assurdità sentite nelle ore successive alla vittoria del Napoli con la Juve, oltre a quella pronunciata da Allegri secondo cui sarebbe stata una partita «noiosa» e quella circolante nei vari post partita televisivi secondo cui Buffon va umanamente compreso per aver detto in eurovisione che l'arbitro è un assassino animale insensibile con la munnezza al posto del cuore e Sarri no per aver reagito con un dito medio a quanti sputavano in faccia ai finestrini del suo pullman, ci sta sicuramente l'assunto di quella grossa metà del Paese che domenica sera tifava Juve e secondo la quale i napoletani non dovrebbero festeggiare. O almeno, non così sfacciatamente, perché in fin dei conti la Juve è ancora un punto sopra in classifica e il Napoli non ha vinto niente. Niente? Ma come niente?

Innanzitutto, il Napoli ha vinto una partita di calcio con la Juve. Ma poi, lo sanno costoro che il Napoli non vinceva a Torino con la Juve da quasi dieci anni e che l'ultima volta che ci era riuscito per mettere a segno l'impresa era dovuto scendere in campo uno che non a caso si chiamava Gesù in argentino? Sono a conoscenza, questi qua, della circostanza, affatto irrilevante, che all'Allianz Stadium non solo il Napoli non aveva mai vinto ma che da quando esiste il nuovo stadio bianconero praticamente nessuno, se non sette, otto squadre, ci era riuscito? Ricordano, questi sciagurati privi di memoria storica e calcistica, che due anni fa, nello stesso stadio, uno scialbo pareggio senza reti veniva trasformato a due minuti dalla fine in una vittoria decisiva per lo scudetto bianconero da un tiro di Zaza? E non rammentano, questi sciocchi smemorati, che a deviare in rete quel tiro di Zaza era stato proprio un impercettibile tocco di Koulibaly? Sì. Lo stesso africano napoletano difensore del Napoli che domenica sera, con una testata volante a meno di un minuto dalla fine, ha abbattuto in un sol colpo anni di insulti, di sconfitte, di cori razzisti, di impuniti «Lavali col fuoco» e «Napoli is not Italy, is Africa». E di fronte a tutto questo, i napoletani non avrebbero dovuto festeggiare? E perché? Solo perché la Juve è ancora prima in classifica e mancano quattro giornate alla fine? E allora, in base a questo ragionamento, niente più si dovrebbe festeggiare. Niente più celebrazioni per i matrimoni perché tanto prima o poi si potrebbe divorziare; niente più brindisi per le vincite al Superenalotto perché tanto prima o poi si potrebbe subire un furto; niente più festeggiamenti per compleanni e anniversari perché tanto prima o poi s'adda murì. E che mondo sarebbe senza la possibilità di esprimere, gioiosamente e liberamente, la propria felicità per un momento epico vissuto assieme ai propri amici, alla propria famiglia, alla propria comunità? Un mondo triste, ammettiamolo. Sicuramente un mondo senza napoletani. Il sogno di molti italiani, in effetti, ma per fortuna non di tutti visto che domenica sera l'altra metà del cielo italico era come dovrebbe essere un cielo e cioè azzurro. E da Milano a Palermo passando per Roma festeggiava, eccome se festeggiava!
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