Già il 31 luglio 1993 l'ex Sant'Uffizio aveva pubblicato le Risposte ai dubbi riguardanti «l'isolamento uterino» e altre questioni. Risposte «che conservano tutta la loro validità», viene confermato, e considerano moralmente lecita l'asportazione dell'utero quando esso «costituisce un grave pericolo attuale per la vita o la salute della madre», mentre ritengono illecite, «in quanto modalità di sterilizzazione diretta», l'asportazione dell'utero e la legatura delle tube (isolamento uterino) con il proposito di rendere impossibile un'eventuale gravidanza che può comportare qualche rischio per la madre. Negli ultimi anni alla Congregazione vaticana sono stati però sottoposti alcuni casi, ben circostanziati, riguardanti anch'essi l'isterectomia, che si configurano tuttavia come una fattispecie differente da quella presa in esame nel 1993, perché riguardano situazioni in cui la procreazione non è comunque possibile.
«L'elemento che rende essenzialmente differente l'attuale quesito è la certezza raggiunta dai medici esperti che, in caso di gravidanza, essa si interromperebbe spontaneamente prima che il feto arrivi allo stato di viabilità.
Qui non si tratta di difficoltà o di rischi di maggiore o minore importanza, ma di una coppia per la quale non è possibile procreare. L'oggetto proprio della sterilizzazione è l'impedimento della funzione degli organi riproduttivi e la malizia della sterilizzazione consiste nel rifiuto della prole: essa è un atto contro il bonum prolis». Nel caso contemplato, invece, si sa che «la nascita di un feto vivo non è biologicamente possibile». Perciò «si è di fronte non già ad un funzionamento imperfetto o rischioso degli organi riproduttivi, ma ad una situazione in cui lo scopo naturale di mettere al mondo una prole viva non è perseguibile». In definitiva, «l'intervento medico non può essere giudicato anti-procreativo, perché ci si trova in un contesto oggettivo nel quale non sono possibili né la procreazione né di conseguenza l'azione antiprocreativa».