Le ragazzine dei filmati hot:
«Tradite da fidanzati e web»

Le ragazzine dei filmati hot: «Tradite da fidanzati e web»
di Maria Pirro
Mercoledì 29 Novembre 2017, 09:03 - Ultimo agg. 30 Novembre, 16:17
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È confusa, non risponde al telefono. Spesso piange. Sono passate tre settimane da quando si è saputo delle immagini hot nella chat Whatsapp delle liceali. «È iniziato tutto per scherzo, un po' per noia, un po' per confrontarci fra amiche sul nostro fisico e scimmiottare le tipe della televisione. In estate ci siamo scambiate delle foto, ma fra di noi!», racconta, protetta dallo schermo, via mail, la ragazza di Modena, una delle 63 ritratte in pose sexy. «Solo una delle tre vittime di questa storia ad aver presentato denuncia», aggiunge Roberto Mirabile, presidente della onlus «La caramella buona» che ha sollevato il caso, facendo scattare l'inchiesta, al momento contro ignoti.

«Nessuna di noi ha mandato le foto in giro, come qualcuno ha detto», precisa la sedicenne. «Cominciata la scuola, ci siamo accorte che giravano voci su ragazzi che avevano realizzato dei file con archiviate le immagini Io sono andata nel panico Ho capito subito il casino». Lo stesso sentimento, forse, provato da Michela Deriu, di sette anni più grande, la barista di Porto Torres che il 5 novembre si è tolta la vita come la napoletana Tiziana Cantone, suicida il 13 settembre 2016 per la «gogna mediatica che è come un omicidio» (il grido della madre della ragazza di Mugnano), oppure solo per paura che un video hot, finito in mani sbagliate, potesse comparire on line. A giudicare dai dati raccolti dall'Osservatorio nazionale adolescenza e da Skuola.net il rischio non è, come pensano in molti, limitato a «chi se l'è andata a cercare», secondo un pregiudizio diffuso e immotivato.

Dalle interviste a 3100 studenti, tra i 14 e i 19 anni, emerge che il 33 per cento ha dichiarato di «avere già avuto rapporti sessuali completi». E il 17 per cento dei maschietti considera «normale filmarsi»: il 44 per cento ha poi fatto girare quel video tra gli amici; mentre il 70 per cento delle protagoniste «è stato vittima di ricatto, proprio a causa delle immagini piccanti».

Si chiama revenge porn, letteralmente castigo pornografico. «Altro tipico fenomeno che ha per protagonisti gli adolescenti: si scambiano foto e video intimi ma, quando tutto finisce, si usano gli stessi materiali per vendicarsi», afferma Marcello Gelardini, web editor di Skuola.net. Lui sottolinea: «È il segnale che qualcosa non ha funzionato nell'educazione sessuale, ammesso che ci sia stata».

È sempre più facile cadere nella trappola come rivela Francesca, 16 anni, contattata tramite l'Osservatorio nazionale Adolescenza. Innamorata tanto da lasciarsi andare. «Perché ho mandato io le foto con il seno e le parti intime in primo piano, fidandomi che le avrebbe tenute per sé». Invece, riepiloga la ragazza, «lui le ha condivise con gli amici per mostrarsi figo». Camilla, 15 anni, dice d'un fiato: «L'ho lasciato perché non ero più innamorata. E ha sfogato la rabbia nelle varie chat di gruppo. Voleva farmi sentire impotente, e farmi soffrire». La sua psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell'Osservatorio nazionale Adolescenza, avverte: «La maggior parte dei ragazzi non si rende conto, non solo dei rischi, ma anche che sta commettendo reati piuttosto importanti. Non è consapevole di maneggiare immagini pornografiche, in cui ci sono minori, e che diffonderle corrisponde alla diffamazione».

Così a Roma. Durante l'occupazione del Virgilio due liceali sono stati ripresi di nascosto con lo smartphone e il filmato, inoltrato su Whatsapp, è stato intercettato dai loro genitori, decisi a sporgere denuncia anche per violenza privata. «Allarma - aggiunge Manca - la normalità con cui oggi si condividono momenti più intimi e privati senza capire che quei video possono diventare delle vere e proprie armi, in grado anche di uccidere». Per vendetta, per rabbia, per ingenuità: si tende a colpire con effetti devastanti. «Sapere che proprie immagini possano girare in rete ed essere viste da tutti è un peso che distrugge, fa vivere nella paura: come se potesse sempre accadere qualcosa di grave. Perché il peso della vergogna è difficile da gestire, porta a chiudersi, a evitare occasioni di incontro e, nei casi più gravi, a un gesto disperato».

La storia è di qualche giorno fa. Tre conoscenti di Michela Deriu risultano indagati a vario titolo per tentata estorsione, diffamazione aggravata e istigazione al suicidio nell'inchiesta affidata ai carabinieri di Porto Torres e Olbia che, ancora ieri, hanno sentito decine di testimoni.  
«I casi sono in continua crescita, perché filmarsi sta diventando un'abitudine, soprattutto tra teenager, quando si scopre il proprio corpo e la sessualità», osserva Mirabile, da anni impegnato nella denuncia di abusi e violenze. «Noi ne abbiamo segnalati già segnalati dieci, tutti con adolescenti come vittime».

Tra una visita e l'altra («ricevo i pazienti fino alle 9 di sera»), la psicoterapeuta Manca racconta i cambiamenti radicali di questi anni, di come il fenomeno sia diffuso in tutta Italia e cita i risultati di un'altra indagine a campione realizzata a Napoli, a maggio 2017, coinvolgendo un migliaio di studenti degli istituti superiori. «Anche qui lo scenario è piuttosto allarmante: per scherzo o divertimento, uno su dieci ha inviato via chat o condiviso sui social foto o video sexy girati dai compagni di scuola; mentre il 13 per cento ha praticato il sexting, cioè mandato sue foto intime, senza vestiti o a sfondo sessuale, con il forte rischio di ricatto».

La ginecologa Rosetta Papa, dirigente dell'unità Tutela Salute Donna nell'Asl Napoli 1, usa altre parole per spiegare: «È come se il corpo fosse dicotomizzato: trattato come merce dagli uomini, non percepito come un valore dalle stesse donne. Il vero problema è la grande solitudine tra i giovani. Non ci sono stimoli che riescano a sedurli e agenzie in grado di raccoglierne le istanze». «Serve più prevenzione», incalza Manca. «Occorre insegnare come rispettare se stessi e il proprio corpo e soprattutto non lasciare segni profondissimi nella psiche di chi viene preso di mira».

Un luogo centrale è la scuola. Lo sa bene Maria Clotilde Paisio, preside del liceo Vico di Napoli, che spiega: «Stiamo organizzando nuovi progetti e incontri sulle malattie sessualmente trasmissibili, il cyberbullismo e l'uso distorto dei social network. Nelle famiglie quasi mai si discute di questi argomenti». Difatti, la 16enne di Modena aggiunge nel suo racconto: «Ancora oggi diverse ragazze non ne hanno parlato con nessuno. Dicono intanto che le fotografie verranno cancellate, ma nessuno ci crede sappiamo ormai che il danno è fatto, ma la paura di confessarsi con i genitori è più grande del coraggio di denunciare. Io l'ho fatto con i miei, che mi hanno sorpresa perché mi hanno capita e, anziché incazzarsi con me, mi hanno aiutata ad andare dalla polizia». Se una prima ricostruzione degli investigatori sarà confermata, le indagini potrebbero portare a uno studente dello stesso liceo, sembrano dunque destinate a scrivere un'altra pagina nera del racconto di un'intera generazione di giovanissimi naufraghi nel vortice del web. «Come mi sento oggi? Vorrei non avere fatto quelle foto, vorrei tanto poter cancellare tutto dalla mia vita», conclude lei. «Quello che mi sento di dire alle ragazze come me è proprio di pensare bene prima di fare e condividere immagini di cui potremmo pentirci». Tradite dal fidanzato, e anche da internet.
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