Bacchetta la sinistra che «tenta solo di distruggere» il patto con Tirana sui migranti, mentre «noi continuiamo a costruire». Alza la voce con Giuseppe Conte, che disse di sì al Mes «un giorno dopo essersi dimesso» da capo del governo e «col favore delle tenebre». E soprattutto affonda contro chi rimpiange Mario Draghi a Palazzo Chigi, e il «farsi foto» a tre coi leader di Francia e Germania «quando poi non si portava a casa niente». Salvo poi precisare che «non era un attacco a Draghi, ma al Pd». È una Giorgia Meloni lancia in resta quella che prende la parola a Montecitorio, quando fuori dal Palazzo si è già fatto buio da un pezzo. La premier, da prassi, interviene per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo di domani. Ma cinque ore più tardi i nodi delle ultime settimane sono tutti sul tavolo: intesa con l’Albania, Patto di stabilità («Nonostante una trattativa difficilissima siamo ancora in partita», assicura Meloni), Superbonus e fondo salva Stati.
Superbonus, Giorgia Meloni: «Pesa come un macigno sui nostri conti pubblici»
L’AFFONDO
Il passaggio più contestato, però, è quello sul suo predecessore a Palazzo Chigi. È qui che dai banchi del centrosinistra la temperatura si alza, tra gli scampanellii della presidenza. «Mi ha molto colpito – comincia Meloni rispondendo a Lia Quartapelle del Pd – che si sia fatto riferimento al grande gesto da statista del mio predecessore Mario Draghi e la foto in treno verso Kiev con Macron e Scholz.
Proprio come 48 ore fa, quando nel mirino era finita Elly Schlein e il Pd accusato di fare la voce grossa sul Mes ma di non aver fatto nulla per ratificarlo negli anni al governo. E poi c’è il patto con Tirana, l’accordo firmato con Edi Rama per costruire due centri dove accogliere entro i confini albanesi fino a 36mila migranti l’anno salvati nel Mediterraneo da imbarcazioni italiane. «Dispiace e colpisce che si sia paventata una espulsione del primo ministro albanese dai socialisti europei – attacca ancora Meloni – evidentemente per alcuni italiani di sinistra aiutare l’Italia è una colpa. Continuino pure a distruggere che noi continueremo a costruire».
L’altro bersaglio è Conte. È un crescendo, quello di Meloni: dal Superbonus («Il più grande regalo mai fatto a truffatori e a bande criminali, lasciando gli italiani in un mare di guai»), alla polemica sui due comici russi («C’è chi ha creduto alla telefonata di due comici e chi ha creduto a un partito fondato da un comico»). Ma il vero colpo arriva di nuovo sul salva Stati, a cui il leader pentastellato dette il suo consenso «che oggi impegna anche noi». E lo fece «un giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solo per gli affari correnti» e «senza averlo detto agli italiani, con il favore delle tenebre. Meglio essere isolati che svendere il Paese».
LE REPLICHE
Ribatte Conte, in grande spolvero nonostante sia reduce da un’influenza: «Basta degrado istituzionale, sul Mes assumetevi le responsabilità, non è più tempo di scaricare sugli altri». Schlein, invece, torna sulle «amicizie sbagliate di Meloni», per le quali «l’Italia pagherà un prezzo altissimo». Poi invoca il cessate il fuoco a Gaza, critica la premier per l’invito di Santiago Abascal ad Atreju («Prenda le distanze dal leader di Vox») e chiede l’ok al Mes («Non si può bloccare il resto d’Europa»). Ma soprattutto prova a galvanizzare i suoi aprendo l’intervento a Montecitorio con il grido risuonato al Teatro della Scala: «Viva l’Italia antifascista». Questa mattina si replica in Senato: si annunciano altre scintille.