Al voto europeo senza crescita: il timore che agita Salvini e Di Maio

Al voto europeo senza crescita: il timore che agita Salvini e Di Maio
di Marco Conti
Domenica 18 Novembre 2018, 12:00 - Ultimo agg. 15:21
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Nell'inceneritore Matteo Salvini ha gettato ieri il contratto di governo. Una mossa al limite della provocazione che ha spinto Giuseppe Conte ad intervenire ribadendo che è lui il garante del contratto.

Il problema per il presidente del Consiglio è però un altro. Perchè uno dei contraenti, la Lega, stavolta non contesta l'interpretazione di un punto dell'accordo, ma lo mette in discussione. Che l'intesa fosse complicata da attuare, era noto, ma per la prima volta uno dei due contraenti lo ammette dando l'impressione di cercare con l'occasione polemica anche una via d'uscita. L'elenco degli argomenti che dividono M5S e Lega si allunga di giorno in giorno. Ultimo i termovalorizzatori. Seguono le tensioni sul ddl sicurezza, sulla corruzione, sulle grandi opere, sulle nomine. Temi sui quali si sono rapidamente infrante le pur notevoli capacità diplomatiche di un premier che sconta il suo relativo peso politico.
 
Un nervosismo, quello della Lega, uguale e a volte contrario a quello che si registra nel Movimentocinquestelle seguito al voto sul decreto Genova e al condono edilizio per Ischia. Di Maio, alle prese con la fronda interna, dovrà ora decidere cosa fare del senatore De Falco e della pattuglia grillina che a palazzo Madama ha contestato e non votato non una norma cara alla Lega, ma il condono per Ischia voluto dal leader grillino. La tensione nella maggioranza cresce e i due vicepremier da tempo si affrettano ad esaltare più le differenze che le ragioni dell'accordo siglato solo pochi mesi fa. Il tutto per riaffermare ragioni identitarie, certamente, ma anche un crescendo di tensioni dovute ad una manovra di Bilancio il cui destino comincia seriamente a preoccupare i due leader. A preoccupare non è tanto, o solo, la reazione di Bruxelles, quanto i dubbi che iniziano a serpeggiare sugli effetti che la legge di Bilancio avrà da qui a maggio, mese di elezioni europee. I dati su crescita, produzione industriale, occupati e sull'export già in questo trimestre vanno esattamente nella direzione opposta a quanto sperato dal governo. In pochi mesi quel punto e mezzo di crescita del Pil, ereditato dai precedenti governi, è evaporato complice anche una congiuntura internazionale certamente non favorevole. Lo scontro con l'Europa, le ricadute che lo spread comincia a produrre sui mutui come nell'accesso al credito da parte delle imprese, complicano il lavoro del ministro dell'Economia Tria, ma caricano su Di Maio e Salvini una responsabilità sotto la quale inizia a vacillare un insospettabile come il ministro Paolo Savona che ieri l'altro ha preso carta e penna per associarsi «alle nobili parole» di Mattarella sull'Europa e chiedere a Conte di dialogare con Bruxelles. Se non una retromarcia, quella del ministro degli Affari europei pare come una frenata che manda in soffitta pianiB e dà il senso della tensione che si vive a palazzo Chigi in attesa del colloquio che Conte avrà domenica prossima a Bruxelles con Juncker. Un incontro che però rischia di arrivare fuori tempo massimo. A meno che i due vicepremier non concedano a Conte qualche margine di manovra.

Ed è di questo che si nutre lo scontro M5S-Lega. Ovvero sulla opportunità di abbassare quel 2.4% che tanto ha fatto irritare Bruxelles come a suo tempo aveva proposto lo stesso ministro Tria. Una riduzione dello 0,2 che sarebbe un segnale importante, ma che Salvini fatica ad accettare, malgrado il pressing del sottosegretario Giancarlo Giorgetti. La riduzione del debito imporrebbe una revisione della legge di Bilancio e di fatto una rimodulazione del contratto di governo e delle due misure principali: reddito di cittadinanza e revisione delle legge Fornero. Proprio quello che ieri ha di fatto chiesto Salvini, parlando di inceneritori, e che è complicato fare in corsa.

L'avvio di una procedura di infrazione da parte di Bruxelles, malgrado il tentativo dei due vice di limitarne l'impatto, rischia infatti di produrre serie e immediate conseguenze per un Paese ad alto debito come il nostro.

Una preoccupazione che ieri l'altro è stata ribadita dal presidente della Bce Mario Draghi e che, per la prima volta, il vicepremier Di Maio ha fatto sua: «Tenere il deficit fermo in questi anni ha fatto alzare il debito pubblico quindi le preoccupazioni di Draghi sono le nostre e per questo portiamo avanti una ricetta diversa». Ma se la «ricetta» non dovesse funzionare, come sospettano in molti, gli effetti si vedranno presto e prima di maggio. Come teme Salvini.

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