Espulsi, bluff, rinunce: i no dei quasi eletti del M5S

Espulsi, bluff, rinunce: i no dei quasi eletti del M5S
di Francesco Lo Dico
Domenica 25 Febbraio 2018, 12:32 - Ultimo agg. 20:39
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Di Maio ha bluffato: «Tutti coloro che erano in posizioni eleggibili nelle liste per i plurinominali hanno già firmato il modulo per la rinuncia altrimenti avrei agito per danno di immagine», ha assicurato nell'intervista a Italia 18 su SkyTg24. Ma a differenza di quanto dice il leader pentastellato, nel plurinominale uno dei candidati allontanati sicuramente non ha abdicato ma molti altri non ci pensano affatto. Sono quattordici finora i rinnegati che possono entrare in Parlamento il 4 marzo. Capolista alla Camera nel listino Veneto 2, Silvia Benedetti era stata espulsa dal Movimento per un presunto ammanco di 23mila euro in pieno ciclone mediatico. Ma la deputata uscente, che aveva prontamente pubblicato sui social le foto dei suoi versamenti («Non ho rubato un centesimo di soldi pubblici e non ho fatto alcuna furbata per intascarmi nulla», aveva scritto ignorata dai vertici), non ha sottoscritto nessuna rinuncia alla candidatura.

Un giallo anche l'addio di Andrea Cecconi, capolista alla Camera nel listino Marche 2 e candidato nel collegio uninominale di Pesaro. Ancora irreperibile dopo l'espulsione dal M5s, il deputato uscente starebbe vivendo ore tormentate. Tant'è che persone a lui vicine assicurano che «Andrea non ha firmato nulla. Sua moglie è in attesa del terzo figlio, a farsi da parte non ci pensa». Sulle barricate sarebbe anche l'eterna dissidente Elisa Bulgarelli. Terza nel listino proporzionale in Emilia Romagna, la senatrice grillina è stata espulsa in pieno ciclone Rimborsopoli («Sarà tutto chiarito», aveva detto). E sarebbe perciò intenzionata a rendere dura la vita a Di Maio. Ma a precisa domanda, si trincera nel no-comment.

Incassata la firma di Martelli in calce al modulo Dessì, il Movimento può contare anche sulla promessa di dimissioni dell'altro epurato (neppure 9mila euro di presunto ammanco, quasi 14mila restituiti), Emanuele Cozzolino. Il deputato uscente conferma infatti la rinuncia al nostro giornale nonostante quella che Nuti ha definito «un'esclusione scandalosa». Ma per il Movimento non era certo una gatta da pelare: terzo nel listino del Veneto 1, Cozzolino sarebbe difficilmente eleggibile.

Conferma di aver aderito alla clausola Dessì anche Maurizio Buccarella, secondo nel listino Puglia 2 del Senato. Ma non sarà certamente sfuggito all'avvocato pugliese, l'inefficacia legale del ritiro imposto dagli alti ranghi pentastellati. Per lo stesso motivo entrerà suo malgrado in Parlamento anche Giulia Sarti, autosospesa dopo aver denunciato l'ex compagno. Capolista alla Camera nel proporzionale dell'Emilia Romagna 1 e nell'uninominale di Rimini, la deputata uscente ha fatto sapere che in caso di espulsione rassegnerà «immediatamente le dimissioni dalla Camera». Ma il caso dell'ex senatore M5s Giuseppe Vacciano (cinque tentativi di dimissioni bocciate dall'Aula), insegna che tanta buona volontà raramente viene premiata. Per i vertici grillini basta infatti una firma per dare le dimissioni. Per lo Stato Italiano devono essere accettate dall'Assemblea. Ma è dai collegi uninominali, che arrivano pessime notizie per i Cinque Stelle. Di farsi da parte, gli espulsi non ne vogliono sapere.

 

«Io chiederò al presidente della Corte di Appello di far decadere la nomina a parlamentare per coloro che hanno già rinunciato alla proclamazione», aveva garantito ieri il capo politico a Cinque Stelle. Il problema è però che a rinunciare alla proclamazione non ci pensa nessuno o quasi. A partire dal «bomber» di Luigi Di Maio, Salvatore Caiata. Che venerdì sera, dopo aver incassato la scomunica direttamente dal leader, si è presentato in perfetto orario ad Avigliano alla kermesse organizzata dai candidati pentastellati. Come se nulla fosse. Per niente atterrito appare anche Catello Vitiello, espulso perché accusato di essere stato un massone. «Il M5s me lo ha chiesto, ma non ho mai firmato e mai firmerò alcuna rinuncia all'elezione», tuona l'avvocato candidato da Di Maio nell'uninominale di Castellammare. Che anzi rilancia: «Sono in corsa e pronto alla battaglia per la vittoria nel mio collegio elettorale. Ho incontrato e sto incontrando centinaia di persone dalle quali mi arrivano manifestazioni di sostegno e inviti a proseguire». In assetto di guerra anche il legale e presunto massone David Zanforlini, che a caldo aveva detto: «Mi devono uccidere per farmi ritirare». Raggiunto al telefono, il candidato M5s nell'uninominale di Ravenna ci spiega che «è stato sospeso via Whatsapp ma non in via formale. Pertanto non c'è nessuna rinuncia da firmare». Candidato al Senato a Lucca (ma con scarse chance), alza invece bandiera bianca il presunto massone Piero Landi. «Ho firmato, ora voglio solo tornare alla mia vita», ci dice. Resta incerto il destino di Bruno Azzerboni, altro massone candidato dal M5s a Reggio. Si era detto disposto a farsi da parte, ma non c'è finora alcuna conferma. Noto il curioso caso del candidato M5s al Senato, Emanuele Dessì. Ha firmato la rinuncia alla candidatura e «concordato con Luigi un documento, ma non so come funziona», ha dichiarato. Al netto della condanna in primo grado nascosta al M5s, va aggiunto alla lista anche Antonio Tasso, candidato per i 5 Stelle nel collegio Manfredonia-Cerignola. A poco più di una settimana dalle elezioni, il saldo è in rosso: il Movimento rischia di portare in Parlamento quattordici candidati rinnegati. Che potrebbero fare comodo alle altre forze politiche.
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