Decreto coesione, l'editoriale del direttore Roberto Napoletano: una manovra da 75 miliardi di cui nessuno vuole parlare

Con i fondi della nuova Coesione europea gli investimenti infrastrutturali strategici riguarderanno il Sud con una scelta molto più netta rispetto al passato

Roberto Napoletano
Roberto Napoletano
di Roberto Napoletano
Giovedì 9 Maggio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 17 Maggio, 16:03
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C'è qualcosa di sostanziale che è accaduto in Italia, ma che difficilmente coglierà l'attenzione di molti. Perché ha il “difetto” di mettere in campo una manovra di sviluppo da 75 miliardi, di cui il 40% al Sud, con un mandato di spesa vincolato a determinati settori strategici: risorse idriche; infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell'ambiente; rifiuti, trasporti e mobilità sostenibile; energia, sostegno allo sviluppo e all'attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde. Si tratta di un maxi-intervento che può contribuire a cambiare pezzi rilevanti dell'assetto sistemico infrastrutturale del Paese a partire dalle sue aree più arretrate e mette benzina nel motore delle imprese.

La pubblicazione in gazzetta ufficiale del nuovo decreto di Coesione sancisce che il nostro è il primo Paese a raccogliere le raccomandazioni della Commissione agli Stati membri e attribuisce al modello italiano il merito di avere attuato una buona pratica europea che incide su una delle due voci fondamentali del bilancio comunitario.

Si raccoglie il primo risultato concreto di una scelta politica da sistema Paese, voluta dal governo Meloni, che ha messo insieme le deleghe sull'attuazione del fondo straordinario del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e quelle sulla Coesione europea e sul Fondo per lo Sviluppo e la Coesione nazionale e che ha avuto nel ministro Fitto delegato la capacità di mettere in coordinamento tutte queste risorse e di farlo riconoscere come buona pratica europea arrivando a inserire tale riforma all'interno delle 7 che si vanno ad aggiungere alle 59 già concordate all'interno del Pnrr. 

Si arriva a questo risultato, dopo un'intesa con la quasi totalità delle singole Regioni riunite cinque volte, dentro una gabbia con risorse mirate, premialità e poteri sostitutivi rispetto alle condizioni abilitanti preventivamente concordate.

Se si scorrono i primi 8 articoli si vede con chiarezza il segno di una nuova governance che consente di avere una flessibilità sui settori di intervento pre-individuati, nel passaggio cioè tra l'uno e l'altro, mobilitando, dal 2021 al 2027, 43 miliardi di fondi europei che permettono di arrivare a 75 con il cofinanziamento nazionale.

Per capirci, dal 2021 a oggi siamo a spesa zero. Entro il 31 dicembre del 2025 le prime due annualità saranno ragionevolmente spese perché si conoscono sin da ora progetti e ambiti di intervento autorizzati e la governance messa in campo prevede una gamma molto vasta di poteri di monitoraggio, sostitutivi e, addirittura, di stralcio in caso di resistenza passiva nel mettere in chiaro preventivamente progetti e obiettivi e, eventualmente, nel caso successivo di ritardi in fase di esecuzione. 

C'è una novità di assoluto rilievo per i lettori di questo giornale, che merita di essere sottolineata, e riguarda la perequazione infrastrutturale. Con i fondi della nuova Coesione europea gli investimenti infrastrutturali strategici riguarderanno il Sud con una scelta molto più netta rispetto al passato e secondo lo spirito autentico fondatore di questo tipo di interventi. Si elimina in radice il giochetto per cui a voce si diceva «il 34% va al Sud», ma poi questo impegno si rivelava l'indicazione di una percentuale astratta. 

A conti fatti questa percentuale astratta di destinazione di spesa viene sostituita da una destinazione secca non negoziabile del 40% delle nuove risorse direttamente al Mezzogiorno. Al comma 5 dell'articolo 11 (Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale per il Mezzogiorno) è scritto testualmente: le parole di «stanziamenti ordinari in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione residente» sono sostituite dalle seguenti «di risorse non inferiore al 40% delle risorse allocabili». 

Il capovolgimento di approccio è determinato dal fatto che gli accordi sugli interventi si fanno prima con le singole Regioni. Così è già avvenuto con tutte a eccezione di Puglia, Sicilia, Campania e Sardegna.

Sulle prime due si è abbastanza vicini alla definizione finale dell'intesa, sulle altre due per motivi diversi si è più indietro. C'è una parola inserita nel provvedimento che, a nostro avviso, deve portare tutti i soggetti interessati, ministeri e Regioni, a riflettere sulla profondità del cambiamento messo in atto.

Questa parola si chiama stralcio. Vuol dire che chi non concorda prima gli interventi all'interno delle aree predeterminate in sede di governo europeo e italiano e delle loro strutture esecutive, magari perché pensa di potere decidere da solo come è avvenuto con le precedenti programmazioni, questa volta si vedrà stralciate le risorse attribuite e si procederà in sede centrale all'attribuzione delle stesse risorse agli stessi dicasteri e alle stesse Regioni sui progetti che si deciderà di privilegiare. Non è un dato irrilevante. 

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