Fico premier, spunta il veto dei big cinquestelle

Fico premier, spunta il veto dei big cinquestelle
di Francesco Lo Dico
Mercoledì 25 Aprile 2018, 11:45
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Resta sentiero irto di ostacoli quello che ha iniziato a percorrere Roberto Fico. La strada che porta all'intesa con il centrosinistra ha registrato ieri i primi insperati passi in avanti. Ma lungo la strada dell'esploratore ci potrebbe essere una mina pronta a esplodere. E ad averla piazzata non è il Pd. A rivelarlo è un colonnello pentastellato che dopo la promettente apertura di Marcucci alla premiership del presidente della Camera arrivata in mattinata, non esprime alcuna soddisfazione.

Al contrario: «Fico è la nostra grande occasione», premette. «E ora tuona - è arrivato il momento di squarciare il velo dell'ipocrisia perché i nostri militanti hanno il diritto di sapere la verità. Danilo Toninelli, e Riccardo Fraccaro lo hanno detto senza dirlo. Ma la verità è che i vertici del Movimento hanno posto il veto su Roberto a palazzo Chigi. Semmai dovesse trovare un'intesa con il Pd, Fico dovrà rinunciare a fare il presidente del Consiglio perché è escluso dal vertice del Movimento che Luigi possa cedere il testimone».

E la democrazia diretta? «Nessuna consultazione on line, nessun voto dell'Assemblea. I vertici ce lo hanno detto chiaro e tondo. Il candidato premier è Di Maio: o a palazzo Chigi ci va lui, o il M5s va all'opposizione. Roberto è spacciato», continua la gola profonda dei pentastellati.
 
Dopo l'incontro con Fico, il forno democratico comincia ad ardere. Ma il capo politico sa bene che presto o tardi il Pd chiederà la sua testa. Ed ecco che per tentare di scongiurare la ghigliottina, Di Maio ha provato in tutti i modi ad ammorbidire il plotone dem. Nel programma curato da Giacinto Della Cananea è apparsa la professione di atlantismo pretesa da Franceschini. È scomparso il jobs act. Sparita l'abolizione della Fornero. Sfumato il reddito di cittadinanza, rimosso il tema immigrazione. E arriva anche lo scalpo di Salvini, preteso pubblicamente dal Pd: «Con la Lega abbiamo chiuso», ha detto Di Maio. Un'apertura totale, per certi versi disperata. L'intenzione del capo politico pentastellato era infatti di sfruttare il mandato esplorativo di Fico per guadagnare tempo e archiviare con sollievo l'intesa con il Pd mettendo così la sua premiership al riparo dall'ombra del leader ortodosso. Prova ne sia che la riunione con i gruppi parlamentari prevista martedì è poi slittata a giovedì: a esplorazione di Fico conclusa. A quel punto, certificata l'impraticabilità della trattativa con i dem, Di Maio accarezzava l'idea di tornare alla carica con Salvini per ripresentarsi al Colle dopo le elezioni in Friuli con l'accordo di governo in tasca. Ma come rivelano fonti interne del M5s, «il leader leghista ha ribadito anche oggi a Luigi di non volersi staccare da Berlusconi».

Da una parte il centrodestra che chiude la porta, dall'altra il centrosinistra che chiede la sua cravatta su un piatto d'argento: Di Maio teme di restare con il cerino in mano. «L'aria è pesante, ci sentiamo in trappola», confidano a mezza bocca dal quartier generale del capo politico. Che ha provato a uscire dalla doppia tagliola, con un ultimo guizzo. «Se fallisce con il Pd per noi c'è il ritorno al voto, non sosterremo governi tecnici», è l'altolà del leader grillino. Ma l'autentico senso delle sue parole, spiega un esponente pentastellato, è un altro. «Quello che Luigi vuol dire veramente ai dem è che o il premier è lui, o manda il Movimento all'opposizione. Sa bene che un governo del presidente si farà: schierarsi contro l'esecutivo di tutti è l'unica maniera per salvare la faccia e la guida del M5s».

E qui si torna al punto di partenza: l'incrollabile voglia di premiership. «Luigi non può farci andare a sbattere. Parlamentari e militanti hanno il diritto di votare su un eventuale passo di indietro del capo politico, se questo ci consentisse di portare a palazzo Chigi un premier a Cinque Stelle come Roberto Fico», chiosa un esponente dell'area ortodossa. «D'altra parte conclude - è scritto nello Statuto: noi parlamentari abbiamo l'obbligo di sostenere un governo del M5s, non un governo Di Maio. Il leader faccia un passo indietro, e rispetti il regolamento che ci ha imposto di votare. Il nostro candidato è il programma? Uno vale uno? È il tempo di dimostrarlo». Interpellati sul veto a Fico, i vertici della comunicazione del Movimento si trincerano nel silenzio. Tace anche Danilo Toninelli. «Siamo solo all'inizio di un periodo di grandi turbolenze», profetizza l'autore di Supernova, Nicola Biondo.
 
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