Al via il primo processo in Spagna per i niños robados: alla sbarra il ginecologo franchista

Il ginecologo imputato del traffico dei bambini rubati, Eduardo Vela, passeggiando con la moglie a Madrid
Il ginecologo imputato del traffico dei bambini rubati, Eduardo Vela, passeggiando con la moglie a Madrid
di Paola Del Vecchio
Lunedì 25 Giugno 2018, 12:58 - Ultimo agg. 26 Giugno, 00:41
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MADRID - Migliaia di vite strappate, di identità rubate e l’impossibilità di ricostruirsi come persone, senza verità, senza giustizia né riparazione. Sono passati 44 anni dalla morte del ‘caudillo’ Francisco Franco ma, a differenza delle abuelas de la plaza de Mayo, la ferita delle madri spagnole e dei loro ‘niños robados’, i figli sottratti sistematicamente a oppositori e repubblicani e dati illegalmente in adozione alla nascita, per essere educati ai valori «di Dio e della patria», è sempre aperta. Lo Stato non ha mai squarciato la cortina di silenzio, nonostante le investigazioni storiche e le migliaia di denunce. Ora finalmente si è apre uno spiraglio, con l’avvio del processi al ginecologo Eduardo Vela, 85 anni, per il rapimento di un bebè nel 1969. È il primo processo del genere in Spagna e ci sono voluti anni per arrivarci. Per Vela, imputato a piede libero dopo aver pagato una cauzione per responsabilità civili di 465mila euro, la Procura chiede 11 anni di carcere. 

A portarlo sul banco degli imputati, Ines Madrigal, 49 anni, ufficialmente nata il 4 giugno 1969 nella clinica San Ramon di Madrid, epicentro del macabro traffico di neonati, che secondo l’accusa faceva capo a Vela e al suo braccio destro, suor Maria Gomez Valbena, prima indagata nel caso e morta un lustro fa a 87 anni. Presidente dell’Associazione Niños Robados di Murcia, Ines non avrebbe potuto vincere la battaglia se non avesse avuto a suo fianco i genitori adottivi, Ines Perez, scomparsa un anno fa a 93 anni, e Pablo Madrigal. «Se non fosse stato per lei, che ha dichiarato all’autorità giudiziaria la verità, che il mio certificato di nascita firmato da Vera era falso, perché lei non poteva avere figli, oggi non saremmo qui», ha riconosciuto Ines alla vigilia del processo ai microfoni di Radio Cadena Ser. «Il ginecologo le suggerì di fingere la gravidanza e le nausee e di imbottirsi in ventre con cuscini, prima di ricoverarsi in clinica e fingere il parto. È stata molto generosa», ricorda la figlia adottiva. Che non ha speranza che il medico riveli chi fosse la sua madre biologica né «cosa accadde quando mi separò dalle sue braccia». Ma l’inizio del processo apre finalmente una breccia di speranza contro l'occultamento:«Delle oltre duemila denunce di bambino rubati archiviate, questo è il primo caso che arriva a giudizio, per cui è diventato un poco il processo di tutti», osserva Ines Madrigal.

In un’istruttoria del 2008, poi archiviata, l’allora giudice dell’Audiencia Nacional, Baltazar Garzon, stimava in 30mila i bambini rubati nella Spagna franchista fino al 1950 e almeno altrettanti fino agli anni ’90. Un orrore difficile da quantificare. Decine e decine le storie documentate nei libri ‘Los niños perdidos del franquismo’ e ‘Mujeres caídas’ dallo storico Ricard Vinyes e dalla levatrice Mirta Nuñez, partecipe dei parti e delle sparizioni forzate nelle carceri di Franco.  Mentre nel suo ‘El holocausto español’ (2011), l’ispanista della London School of Economics, Paul Preston, parla di un piano sistematico di sterminio di oppositori: «Terminata la guerra civile, il sequestro dei figli delle prigioniere repubblicane, non solo di quelle giustiziate, diventò un’azione sistematica. Un totale di 12mila bambini furono internati in istituzioni civili e religiose». Un decreto del 1940 permetteva al regime di togliere i neonati alle madri se giudicava a rischio la loro “educazione morale”. «Una norma - ricordano all’Associazione SOS Neonati rubati - che permise di strappare ai genitori circa 300mila minori. Con il silenzio della chiesa cattolica, che non ha mai risposto alla richieste di aiuto dei familiari di fornire informazioni di madri biologiche e bambini che vogliono ritrovarsi», come consta nella denuncia presentata cinque anni fa al Comitato dei diritti dell’infanzia dell’Onu. Anche dopo la dittatura, i sequestri andarono avanti, grazie alla rete ben organizzata in reparti di maternità e cliniche di varie città del paese, da medici, religiosi e personale infermieristico. Fino al 1987, quando il Parlamento spagnolo varò regole certe sull’adozione di minori. 

«Il meccanismo era sempre lo stesso: madri anestetizzate in sala parto, alle quali veniva sottratto il neonato per darlo a un’altra coppia, disposta anche a pagare una fortuna, spesso convinta che l’adozione fosse legale», assicurava Ines Madrigal, che la sua madre biologica non è riuscita a trovarla. Come lei, molte delle famiglie delle vittime puntano l'indice su Eduardo Vela, responsabile di ginecologia e ostetricia in vari ospedali madrileñi, ex direttore della clinica San Ramon. Lo scandalo emerse nel 1982, quando un reportage del settimanale Inteviù pubblicò le foto raccapriccianti di cadaveri di bambini congelati nell’obitorio della clinica, da mostrare alle madri alle quali venivano tolti i figli, per ingannarle, facendo loro credere che fossero morti. 

Ma nulla si è realmente mosso fino al 2011, quando la magistratura citò in veste di indagata la suora Maria Gomez Valbena, mano destra di Vela. La religiosa è morta nel 2013, dopo essere stata sentita due volte dai magistrati. Gli archivi della clinica sono stati distrutti. Ma ora toccherà al ginecologo, che ha finora smentito ogni implicazione nel traffico, rispondere alle accuse di sottrazione di minori, simulazione di parto e falso in documenti ufficiali, suffragate da riscontri genetici incrociati e decine di testimoni. Il ginecologo ha cercato fino alla fine di sottrarsi al processo, allegando un inizio di demenza senile, ma il Tribunale lo ha ritenuto in buone facoltà psico-fisiche e perfettamente capace di intendere e di volere. 
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