Nulla hanno potuto la tenacia dei genitori Dean Gregory e Claire Staniforth, la disponibilità dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù o i numerosi interventi delle autorità italiane, incluso quello della presidente del consiglio Giorgia Meloni. La piccola Indi, otto mesi, affetta da una grave malattia mitocondriale, è stata trasportata nella giornata di ieri dal Queen’s Medical Centre di Nottingham a un hospice poco lontano in ambulanza, scortata dalla polizia che sorveglia anche la struttura. Durante il viaggio, fa sapere il padre tramite i suoi legali, «ha dormito tutto il tempo ed era rilassata», circostanza che secondo il papà smentisce la presunta «pericolosità di ogni spostamento», argomento utilizzato per il mancato trasferimento in Italia. Nell’hospice sono state avviate le procedure per il distacco dei macchinari che la tengono in vita.
La piccola potrebbe resistere poche ore o anche una settimana. «Spero che la mia guerriera sopravviva fino a lunedì», ha detto Dean Gregory ancora arrabbiato perché il suo Paese «ha condannato a morte una bambina ancora viva invece di accettare l’offerta dell’Italia di curarla senza alcun costo per il governo britannico».
L’Italia ha fatto il possibile su richiesta dei genitori, ma ha trovato solo muri», ha commentato Simone Pillon, che fa parte del team legale italiano che ha seguito la famiglia Gregory. Nella giornata di ieri sono arrivate anche le parole di Papa Francesco, che si è stretto «alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, prega per loro e per lei, e rivolge il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra». E mentre nel Regno Unito – che si è già trovato negli ultimi anni di fronte a situazioni di fine vita ugualmente complesse – la vicenda è rimasta confinata al contesto medico e giuridico, con la sola cronaca giornalistica che ne ha seguiti gli sviluppi, in Italia il tema ha riproposto interrogativi etici nel dibattito politico. Per Eugenia Roccella, ministra della famiglia, della natalità e delle pari opportunità, quanto accaduto da Indi «pone drammaticamente al centro del dibattito la questione della libertà di cura, un diritto che a parole tutti dicono di difendere, ma che in questa occasione è palesemente ignorato».
LE REAZIONI
Con un post su Facebook, ha ribadito: «Non si tratta di sottoporre la bambina a trattamenti improbabili o dolorosi, ad accanimenti terapeutici o peggio a truffaldini viaggi della speranza, ma di dare a chi ha la responsabilità legale della piccola la possibilità di scegliere un percorso di cura in una struttura accreditata ed altamente specializzata. Impedire la cosiddetta second opinion a un paziente è contrario a qualsiasi deontologia medica. Indi ha diritto di essere curata fino all’ultimo, e la cura non è sempre la promessa di guarigione, ma la lotta quotidiana per tutelare la persona e allontanare la fine, per accudirla e creare per lei le migliori condizioni possibili, per scegliere in ogni momento la vita e non la morte».
Per Beppino Englaro, che per 17 anni condusse una battaglia legale per la sospensione delle cure alla figlia Eluana, vittima di un incidente stradale nel 1992, questa «è un’altra tragedia della responsabilità che va chiarita a livello universale. Bisogna stabilire a chi spetta l’ultima parola». La domanda, ha detto all’Ansa, «è sempre la stessa: a chi tocca decidere? Bisogna stabilirlo e, una volta stabilito, non ci saranno più discussioni di questo tipo perché se ne prenderà solo atto. Purtroppo, so che non succederà mai - ha concluso con amarezza - è il tema universale della vita e della morte, una questione di diritto umano universale che continua a riproporsi anche dopo tanti anni». Per Indi, a decidere sono stati i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham e i giudici dell’Alta Corte di Londra.