Huawei, il fondatore rompe il silenzio: «Mai fatto spionaggio»

Huawei, il fondatore rompe il silenzio: «Mai fatto spionaggio»
Huawei, il fondatore rompe il silenzio: «Mai fatto spionaggio»
Martedì 15 Gennaio 2019, 13:16 - Ultimo agg. 21:23
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Il fondatore di Huawei ​Ren Zhengfei respinge i sospetti secondo cui la società sia utilizzata dal governo cinese per spionaggio: in un raro incontro con i media stranieri, Ren, nel quartier generale di Shenzhen, ha detto che sua figlia e direttore finanziario, Meng Wanzhou, arrestata in Canada, dovrebbe essere liberata, ammettendo di sentire la sua mancanza. Huawei «non ha mai ricevuto alcuna richiesta da alcun governo di fornire informazioni improprie», ha aggiunto l'ex ingegnere militare, nel resoconto del Financial Times. 
 


«Amo ancora il mio Paese, sostengo il Partito comunista, ma non farei mai alcuna azione che possa danneggiare alcun Paese», ha aggiunto Ren, ingegnere di 74 anni, di cui si conoscono pochissimi contatti diretti con i media. Se ne contano tre, almeno in via ufficiosa, di cui l'ultima nel 2015: quella di oggi, invece, è un evento eccezionale dovuto a fattori delicati tra le ripetute accuse alla «sua» azienda di essere il braccio armato di Pechino (dalla corsa alla leadership tecnologica, a partire dal riconoscimento globale dello standard 5G, fino allo spionaggio) e il rischio di estradizione negli Usa pendente su sua figlia, accusa di attività illecite con l'Iran.

Ren, a sorpresa, ha avuto parole di pieno apprezzamento per Donald Trump, rilevando che è «un grande presidente» degli Usa, lodando il robusto taglio fiscale a sostegno del business. «Il messaggio che voglio comunicare agli Usa è: collaboriamo e condividiamo il successo. Nel nostro mondo dell'alta tecnologia, è sempre più impossibile per ogni singola compagnia o Paese sostenere e supportare i bisogni del mondo».


Intanto è un caso la condanna a morte in Cina del cittadino canadese Robert Lloyd Schellenberg, per traffico di droga. La Cina respinge l'ipotesi che la sentenza nasconda l'intenzione di esercitare pressione su Ottawa e liberare Meng Wanzhou. Secondo il Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo, chi pensa il contrario mostra un «pesante disprezzo» dello stato di diritto di Pechino.

All'arresto di dicembre di Meng, direttore finanziario di Huawei, eseguito a Vancouver su richiesta Usa per le presunte attività illecite con l'Iran, hanno fatto seguito gli arresti di due canadesi (l'ex diplomatico Michael Kovrig e l'imprenditore Michael Spavor) per la minaccia alla sicurezza nazionale. Il premier canadese Justin Trudeau ha espresso ieri «forti preoccupazioni» per il fatto che la Cina abbia «arbitrariamente applicato» la pena di morte. «Qualsiasi cosa il Canada faccia, è lo stato di diritto, ma qualsiasi cosa faccia la Cina non lo è. Le elite canadesi si sentono così nel giusto col doppio standard ed è tempo per loro di svegliarsi da tale narcisismo culturale e di valori», conclude l'editoriale del Global Times.

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