La moneta e i big del petrolio: così Parigi comanda in Africa

La moneta e i big del petrolio: così Parigi comanda in Africa
di Mauro Zanon
Martedì 22 Gennaio 2019, 07:30 - Ultimo agg. 16:24
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PARIGI - In una mail del 2011, mai sufficientemente commentata, il funzionario americano Sidney Blumenthal scrisse a Hillary Clinton, allora segretario di Stato, che il motivo per cui il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy aveva scatenato la guerra contro la Libia non era certo la voglia smodata di essere il promotore di una primavera araba libica, quanto invece quella di far fuori colui che intendeva sostituire il franco Cfa con un'altra moneta panafricana, al fine di rendere l'Africa francofona indipendente da Parigi: il raìs Muammar Gheddafi. Altro che «guerre juste», insomma, come affermò il suo intellò e consigliere ombra Bernard-Henri Lévy, altro che «esportazione dei diritti dell'uomo», come promisero all'unisono i sostenitori di Sarkò.
 
L'allora capo dello Stato francese lanciò quella scellerata spedizione perché il suo ex amico, lo stesso che è sospettato di avergli finanziato la campagna elettorale del 2007, si era messo in testa di sottrarsi al giogo della Francia, di «dare agli africani un'alternativa al franco Cfa», come si legge nella mail di Blumenthal. Gheddafi era pronto ad impiegare le proprie riserve, 143 tonnellate d'oro e quasi altrettante d'argento, per un valore complessivo di circa sette miliardi di dollari, ma l'intelligence francese scoprì il suo piano e sappiamo tutti come andò a finire.

La vicenda, ancora oggi, ci dice molte cose sulla questione del franco Cfa. Una questione che è tornata al centro del dibattito mediatico dopo l'attacco dei pentastellati Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista alle politiche neocolonialiste della Francia, che attraverso la moneta mantiene de facto il controllo sulle sue ex colonie, e l'intervento di Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia a «Non è l'arena», durante il quale ha mostrato la foto di un bambino del Burkina Faso mentre estrae l'oro da un cunicolo, accusando la Francia di sfruttare i Paesi africani con lo scopo di rimpinguare le sue casse. Ma quali sono le origini del franco Cfa di cui tutti parlano? E perché è l'ingranaggio essenziale per la sopravvivenza della cosiddetta «Françafrique», ossia di quell'area di influenza politica, economica e militare situata tra la zona Nord e centro-occidentale del continente che permette a Parigi di continuare a spadroneggiare nelle sue ex colonie? Il franco Cfa, che inizialmente significava «franco delle colonie francesi d'Africa» e dagli anni Settanta in poi sta per «comunità finanziaria africana», è il nome di due valute comuni create nel 1945 da Charles de Gaulle, con cui la Francia, dopo gli accordi di Bretton Woods, voleva mantenere la mano sulle sue ricche colonie, necessarie per far ripartire l'economia esagonale nel Secondo dopoguerra e alimentare il mito della grandeur.

Da una parte c'è il franco Cfa occidentale, usato nell'Unione economico-monetaria dell'Africa occidentale ed emesso dalla Bceao, Banque Centrale des États de l'Afrique de l'Ouest, che ha sede a Dakar, in Senegal; dall'altra, c'è il franco Cfa centrale, usato nella Comunità economico e monetaria dell'Africa centrale ed emesso dalla Beac, Banque des États de l'Afrique Central, che ha sede a Yaoundé, in Camerun. Al primo gruppo appartengono Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, al secondo Camerun, Repubblica centrafricana, Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Ciad: tutti Stati francofoni ed ex colonie francesi, tranne la Guinea equatoriale, ex colonia spagnola, e la Guinea-Bissau, ex colonia portoghese. Inizialmente, il franco Cfa aveva parità con il franco francese, ora è agganciato all'euro attraverso un tasso di cambio fisso (655,957 franchi Cfa equivalgono a 1 euro), ciononostante è la Banca di Francia, e non la Banca centrale europea a garantire la convertibilità del franco Cfa. E qui veniamo al punto. Perché secondo gli accordi stipulati con le sue ex colonie, Parigi, in cambio della garanzia di piena convertibilità della valuta e dei trasferimenti interni all'area monetaria attraverso il Ministero del Tesoro, continua a costringere tutti i Paesi della zona del franco Cfa a depositare il 50% delle loro riserve valutarie in un conto speciale della Banque de France. Inoltre, il Tesoro francese ha i suoi rappresentanti, che beneficiano del diritto di veto, in seno alle due banche centrali africane, fatto che permette a Parigi di definire la politica monetaria della zona Cfa.

«Eviti di avere un approccio scioccamente post-coloniale o anti-imperialista su questo tema», rispose con arroganza il presidente Macron a uno studente del Burkina Faso che lo aveva interrogato, nel novembre 2017, all'università di Ouagadougou, sul problema del Cfa. Ma attraverso questo sistema che permette alle multinazionali di investire nei Paesi africani senza temere un'improvvisa svalutazione, e contro cui lo studente burkinabé puntava il dito, è innegabile che la Francia continui ad avere nelle sue ex colonie un'influenza smisurata, con l'atteggiamento di chi considera ancora quelle terre come il proprio giardino esotico e allo stesso tempo come un'area da depredare a discapito della popolazione locale. Ne sa qualcosa la Total che, come riportato dal giornalista ed esperto di questioni africane Alberto Negri, «mette a bilancio in Africa un terzo della sua produzione mondiale di petrolio». Ma ne sanno qualcosa anche Orano (ex Areva), che in Niger estrae il 30% dell'uranio necessario per le centrali nucleari francesi, e Vincent Bolloré, il magnate bretone che si è costruito un impero in Africa tra concessioni portuali, attività logistiche ed energetiche.

Il Burkina Faso e il Mali sono sinonimo di oro per la Francia, ma il Mali, così come il Ciad, dove Macron si è recato lo scorso dicembre, sono anche fondamentali come gendarmi antiterrorismo, per difendere gli interessi strategici di Parigi e delle sue multinazionali.

Il franco Cfa continua a essere un freno per lo sviluppo dei Paesi che utilizzano questa banconota e allo stesso tempo uno degli strumenti di controllo e espansione più efficaci utilizzati dalla Francia.

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