Schettino, la verità in un video
«Non potevo risalire sulla nave»

Schettino, la verità in un video «Non potevo risalire sulla nave»
di Ciriaco M. Viggiano
Sabato 11 Marzo 2017, 17:07 - Ultimo agg. 12 Marzo, 18:17
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«Sono saltato sull'ultima scialuppa poco prima che la nave si abbattese e la trascinasse sul fondo insieme a tutte le persone che erano a bordo»: Francesco Schettino affida a un filmato la sua verità sul naufragio della Costa Concordia. Dopo mesi di silenzio, l'ex comandante ricompare in un video intitolato «L'onore del marinaio» e diffuso nelle ultime ore sul web: 17 minuti e 55 secondi durante i quali, attraverso una serie di documenti acquisiti durante i processi di primo e secondo grado, il marittimo metese offre la propria versione della tragedia che il 13 gennaio 2012 costò la vita a 32 persone e per la quale è stato condannato dalla Corte d'appello di Firenze a 16 anni di carcere.
 


Schettino parte dalla più grave tra le accuse che gli sono state mosse dai magistrati, cioè quella di aver abbandonato la Costa Concordia: «Ero accorso sul lato destro della nave, quello più a rischio, per coordinare lo sbarco dei passeggeri - racconta l'ex comandante - Quando ho capito che la nave stava per rovesciarsi sull'ultima scialuppa e trascinarla a fondo con tutti i suoi occupanti, solo allora sono saltato proprio sulla scialuppa per salvare la vita di coloro che erano a bordo». Mentre erano in corso le operazioni di salvataggio, infatti, la Costa Concordia si inclinò ulteriormente sul lato destro e la lancia, sulla quale erano salite decine di passeggeri, rischiò di rimanere incastrata sotto i bracci delle gru che si erano conficcati nel tetto. Fu allora che Schettino saltò sul tetto della scialuppa e la disincagliò; subito dopo, la Costa Concordia si coricò definitivamente sul fianco destro. E questo, secondo la difesa di Schettino, dimostra che il marittimo metese rimase sulla nave fino a pochi istanti prima del suo ribaltamento.

A quel punto, che cosa fece Schettino? «Nel tragitto tra la nave e la scogliera - continua l'ex comandante - ho raccolto altre persone dall'acqua, dopodiché sono rimasto sulla scogliera a coordinare i soccorsi». Dalla terraferma, quindi, Schettino contattò la Capitaneria di porto per chiedere di concentrare le operazioni nello specchio d'acqua compreso tra la terra e la nave. Fino a quel momento, infatti, i soccorritori erano stati posizionati sul lato sinistro della Concordia, quindi dalla parte opposta rispetto a quella sulla quale l'imbarcazione si era abbattuta. A dimostrarlo sono le comunicazioni tra la Capitaneria di porto e una motovedetta della Guardia di finanza accorsa sul luogo del naufragio. Schettino non andò andato via nemmeno dopo aver suggerito di spostare i soccorsi sul lato destro: sempre dalla scogliera si mise in contatto con l'unità di crisi della Costa Crociere, come testimoniato da una telefonata intercorsa tra gli stessi vertici della compagnia di navigazione e quelli della Capitaneria di porto.

Nel video non manca un riferimento alla telefonata durante la quale Gregorio De Falco, capitano di fregata della Capitaneria di porto, ordinò a Schettino di risalire a bordo della nave attraverso la biscaggina: una comunicazione che, nei giorni immediatamente successivi al naufragio, fece il giro del mondo. «Quando all'1.46 mi chiese di risalire a bordo - spiega il marittimo metese - De Falco ignorava tutte le informazioni ricevute da me, dal comando generale delle Capitanerie di Roma e dalla motovedetta coordinatrice dei soccorsi sul campo. Non sapeva che la nave si era abbattuta sul fondo e, soprattutto, che la biscaggina da lui indicata era ormai sott'acqua». In più, soltanto pochi minuti prima che De Falco ordinasse a Schettino di risalire a bordo, al marittimo metese era stato imposto di rimanere sulla scogliera e di conservare la batteria del cellulare per tenersi in contatto con i soccorritori: a impartire quest'ordine, direttamente dal comando generale delle Capitanerie di porto di Roma, era stato Leopoldo Manna, superiore di De Falco.

Il video si conclude, infine, con una battuta di Saverio Senese, l'avvocato napoletano che ha difeso Schettino nel processo d'appello e che si appresta ad assisterlo anche nel giudizio davanti alla Cassazione: «Nonostante lo Stato italiano abbia investito notevolissime risorse per la ricostruzione dei fatti e per la ricerca delle colpe - osserva il penalista napoletano - le conclusioni tecnico-scientifiche poste a base delle condanne sono incerte ed inquietanti.
Così come l'accanimento nel pretendere un trattamento sanzionatorio mai così severamente applicato per reati colposi».

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