La Cassazione: no aumento pena
per Corona, cumulo resta a 8 anni

La Cassazione: no aumento pena per Corona, cumulo resta a 8 anni
Sabato 24 Febbraio 2018, 22:29 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 15:36
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La Cassazione, respingendo il ricorso della Procura di Milano, ha confermato la continuazione tra i reati delle condanne definitive di Fabrizio Corona e così anche il cumulo pene di 8 anni e 8 mesi che i pm, invece, volevano venisse portato a 13 anni e 8 mesi. Lo ha comunicato il legale dell'ex agente fotografico, l'avvocato Ivano Chiesa, spiegando che ora all'ex 're dei paparazzì, che ha già scontato 5 anni e 5 mesi, restano da scontare poco più di 3 anni. «Due a zero per noi e palla al centro», ha commentato l'avvocato, facendo riferimento alla scarcerazione di tre giorni fa di Corona, a cui il giudice della Sorveglianza ha concesso l'affidamento terapeutico in una comunità. Se, tra l'altro, la Sorveglianza nelle prossime settimane (udienza il 27 marzo) decidesse di annullare un 'vecchiò provvedimento di revoca dell'affidamento in prova, all'ex 'fotografo dei vip' resterebbero due, e non 3 anni, da scontare. La Procura di Milano aveva chiesto alla Cassazione di cancellare la continuazione tra i reati nell'ottobre 2016.

Il legale Chiesa, che assiste Corona assieme al collega Luca Sirotti (l'avvocato Antonella Calcaterra lo segue davanti alla Sorveglianza), ha parlato di un «grande risultato» arrivato dalla Cassazione perché, a questo punto, all'ex agente fotografico «restano da scontare tre anni, che potrebbero diventare due». Il 13 ottobre 2016, poco dopo il nuovo arresto di Corona per l'ormai nota vicenda dei soldi nel controsoffitto - vicenda che, però, si è conclusa con una sentenza che ha fatto cadere l'accusa e la misura cautelare (condannato a un anno solo per un illecito fiscale) - gli allora pm dell'esecuzione Nunzia Gatto e Nicola Balice avevano presentato il ricorso in Cassazione. La richiesta era quella di annullare il provvedimento con cui il gip Ambrogio Moccia a fine settembre 2016 aveva evitato a Corona di ritornare in cella riconoscendo la continuazione tra i reati di estorsione, tentata estorsione e bancarotta, per i quali è stato condannato in via definitiva. Il primo a riconoscere la continuazione tra i reati era stato nel 2014 l'allora gip Enrico Manzi. Decisione, anche quella, impugnata in Cassazione e poi tornata davanti al gip.
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