È un inedito a tutti gli effetti l’interesse per Napoli di uno o più fondi di investimento sauditi o comunque arabi di cui si è parlato ieri in queste pagine. E per almeno due buone ragioni. La prima, perché finora si era favoleggiato solo di una presunta offerta di sceicchi o emiri interessati ad acquistare il Calcio Napoli, respinta subito al mittente (altrettanto presunto) dal presidente Aurelio De Laurentiis.
La seconda, certamente più interessante, è perché gli arabi prima di adesso non hanno mai veramente puntato sul brand Napoli, pur avendo intensificato, da alcuni mesi, i loro investimenti nel binomio lusso-intrattenimento e nell’immobiliare made in Italy.
Per dare un’idea, l’ultimo, recentissimo shopping del Public Investment Fund (Pif), il fondo sovrano più importante dell’Arabia Saudita, ha riguardato gli hotel 5 stelle Rocco Forte, le macchine da palestra Technogym e gli yacht Azimut Benetti, sigle e storie di eccellenza per il nostro Paese. Per non parlare dei venti accordi sottoscritti da Ryad con società italiane, dalla multinazionale genovese Rina, attiva nell’ambito nautico, all’impresa chimica lombarda Italmatch Chemicals e Industrie de Nora, che fornisce elettrodi per processi elettrochimici industriali di cui è il primo esportatore al mondo. Business a sei e sette zeri, con partecipazioni azionarie anche fino al 49%, dai quali Napoli sembrava perennemente esclusa.
Il vento è cambiato, a quanto pare. E a voler far correre l’ottimismo, si potrebbe persino ipotizzare la nuova “Zes unica Sud” come strumento operativo per concretizzare l’investimento, garantendo essa tempi rapidi e sburocratizzazione.
Suggestione a parte, è evidente che dietro l’apertura della grande finanza verso Napoli c’è soprattutto una capacità attrattiva della città sconosciuta al passato.
Naturalmente tutto ciò deve fare i conti con la qualità e la trasparenza dell’affare, se di esso si tratterà. L’Italia è di sicuro ricchissima di brand e può dunque essere un buon partner commerciale anche per gli arabi. Ma a condizione di non essere passiva nelle scelte di governance relative ai settori e alle aziende in cui verranno proposti e conclusi gli investimenti.
Tradotto in soldoni, (ovviamente) vuol dire far crescere occupazione e Pil con quelle risorse, redistribuendo ricchezza e opportunità a 360 gradi. Non è una sfida semplice ma Napoli parte da un vantaggio non trascurabile: sa, come pochi, cosa vuol dire sottomettersi a poteri e capitali stranieri. Fare tesoro di quelle tristi stagioni è la via maestra per evitarne altre.