Kiton, il successo di ago e filo

Kiton, il successo di ago e filo
di Santa Di Salvo
Venerdì 14 Aprile 2017, 09:56 - Ultimo agg. 15 Aprile, 09:19
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Ago e filo non fanno rumore. Ma sanno disegnare uno stile che ha conquistato il mondo. Siamo ad Arzano nel regno di Ciro Paone, fondatore di Kiton, da molti ritenuto il brand maschile più esclusivo in assoluto, quello che produce gli abiti più costosi per gli uomini più ricchi del pianeta. Insisto sul “più” perché proprio lui, Ciro il grande, famoso per le sue sintesi, si è espresso con l’ormai celebre slogan “Il meglio del meglio più uno”, un modo per descrivere la possibile fusione a freddo tra l’alta sartorialità e il fatto a mano. Ovunque, solo l’operoso brusio di sarti e camiciaie, tagliatori e stiratrici. Le macchine per cucire e i ferri a vapore sono gli attrezzi più industriali, poi ci sono le stoffe preziose e i gessi che disegnano, la scuola di alta sartoria che da anni forma i giovani talenti, quasi tutti napoletani, e il laboratorio delle scarpe messe in fila sui banchetti. Una eccellenza artigianale negli spazi immensi di una fabbrica. Sedicimila metri quadri, 450 dipendenti, le pareti disseminate di opere gigantesche di Mimmo Paladino e il ponte pedonale di vetro legno e acciaio opera di Hadi Teherani che collega i due stabilimenti. Attraversarlo è una gioia per gli occhi. Ai lati la collezione unica al mondo di abiti del duca di Windsor, comprata ad un’asta di Sotheby’s a New York alla fine degli anni Novanta. L’occhio si ferma commosso sul monopetto in tweed a quadri indossato da Edoardo in occasione del celebre discorso alla radio del 1936, l’annuncio dell’abdicazione al trono per sposare l’amata Wallis. Pezzi di storia che raccontano l’eleganza british declinata alla partenopea. Qui bisognerebbe portarci studenti a vagonate, a imparare che cosa può la forza di un sogno quando si unisce alla tenacia e alla genialità imprenditoriale.
 


Era il 1956 quando Paone, che commerciava tessuti a piazza Mercato, intuì con largo anticipo, nella Napoli in cui ogni palazzo aveva il suo sarto, che un’epoca stava per finire. Cominciò con una piccola produzione di cappotti, reclutando una decina di sarti in un laboratorio a Secondigliano. E continuò così fino al 1968, anno di nascita della Kiton, così chiamata dal nome della toga degli aristocratici greci. CiPa, l’acronimo precedente nato dalle iniziali dell’imprenditore, era poco adatto al mercato internazionale per quell’assonanza con “cheap” che era l’esatto contrario della filosofia di Paone, fatta di inimitabile manualità. L’eleganza secondo Kiton vuol dire costruire pezzi di architettura sartoriale, al massimo cinquanta capi al giorno, con diecimila varianti di tessuti. E poi cinque siti produttivi, 55 boutique monomarca nel mondo, 800 dipendenti nel mondo di cui più della metà ad Arzano, giacche mozzafiato che arrivano a 40mila euro (l’abito più venduto di lana 14 micron costa 7/8mila euro) e un fatturato di 118 milioni nel 2016. Oltre ad Arzano, gli altri poli Kiton sono tutti in Italia e tutti in aziende di proprietà: a Parma Wonderland produce giubbotteria, a Fidenza Somma la maglieria, a Biella il lanificio Carlo Barbera le materie prime, a Caserta i pantaloni casual.

Di Kiton si favoleggia soprattutto della frequentazione con i ricchi e famosi. Molto si chiacchiera, poco si sa. «La privacy dei clienti è sacra» taglia corto l’amministratore delegato Antonio De Matteis, nipote di Ciro, qui in fabbrica da tutti chiamato Totò. «Non si meravigli, è il clima familiare dell’azienda» dice ridendo. Neanche un cenno alle frequentazioni eccellenti? Le mozzarelle a casa di Zuckerberg, gli incontri blindati con la casa reale inglese, gli emiri e i banchieri, gli oligarchi russi con le ville foderate d’oro? Totò tace. Kiton veste uomini che amano l’understatement. «In casa nostra lusso è una parola volgare. Preferiamo parlare di qualità».

La “qualità Kiton” è qualcosa di molto speciale. La giacca è un capolavoro frutto di 25 mani diverse, con tempi di lavorazione di 20 ore. Ti si adatta addosso, dicono i sarti, perché la lavorazione a mano crea delle morbidezze impensabili con le macchine. E i sarti di Arzano garantiscono il “su misura” in ogni parte del globo, letteralmente. De Matteis, 53 anni, se ne va in giro a visitare clienti con i suoi artigiani e, da un paio d’anni, anche con lo chef Nino Di Costanzo, un’accoglienza che comprende anche cene stellate a casa o in boutique, e prodotti campani portati da casa. La filosofia dell’abito Kiton è una filosofia di vita. «Creare capi senza tempo che si sottraggono ai diktat della moda e diventano parte di chi li indossa». Per De Matteis, impeccabile dandy partenopeo, chi è l’uomo elegante? «Un uomo che si veste per se stesso, non per gli altri». Dovesse consigliare un decalogo ai giovani disarmati di questi anni sciatti? «Non essere mai troppo appariscenti. Amare i dettagli, perché lì c’è la vera eleganza».

Amministratore delegato dal 2007, De Matteis ha acquisito per osmosi l’imprinting familiare. «Ho dormito più notti con mio zio che con le mie due mogli...».
Scherzosa sintesi di una vita passata a girare il mondo con Ciro Paone come insegnante privato. Anche perché Paone non ama l’aereo e i mattoni del suo impero li ha sistemati di persona attraversando l’Europa quasi sempre a bordo di un’auto. «Quando abbiamo deciso di investire negli Usa, era il 1986, mi ha detto: là ci vai tu». Totò ci è andato. Ed ha aperto il ricco mercato americano. Nel 2003 la Kiton acquisisce a New York la palazzina neorinascimentale nella 54esima già sede del Banco di Napoli. Oggi gli Stati Uniti sono la fetta più consistente dell’export, circa il 23%. Solo per il 15% la clientela è italiana. La seconda generazione Kiton lavora tutta in azienda. Le due figlie di Ciro, Raffaella e Maria Giovanna, sono responsabili delle Risorse Umane e della Linea Donna. Poi ci sono i nipoti: Antonio Paone (collezione uomo e commerciale), Silverio Paone (aziende di produzione). Al carismatico fondatore, oggi 83enne, Pitti Immagine ha dedicato a gennaio una mostra a Palazzo Gerini intitolata «Due o tre cose che so di Ciro» e un premio alla carriera. Tra un anno saranno cinquanta i suoi anni di attività.

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