I ricordi di Genny Sangiuliano:
«A sette anni già sapevo tutto
sul Risorgimento italiano»

I ricordi di Genny Sangiuliano: «A sette anni già sapevo tutto sul Risorgimento italiano»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 22 Dicembre 2018, 18:00 - Ultimo agg. 19:42
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Secchione lo era, anche se preferiva definirsi studioso e diligente, con i compagni di classe dell'istituto Froebeliano, a salita Stella, dietro via Foria, a due passi dal Museo Nazionale dove in beata solitudine passava i suoi pomeriggi. Gennaro (Genny) Sangiuliano - classe '62, giornalista e saggista, direttore del Tg2 dallo scorso ottobre - era uno di quegli studenti accanto al quale si faceva a gara a sedersi nel giorno del compito in classe. Amava i libri e i romanzi, i grandi classici, quelli da leggere almeno una volta nella vita e che invece il piccolo Genny rileggeva più e più volte. La madre, Adele, donna forte e determinata, vedova giovanissima, imparò ben presto a vedersela da sola. Senza piangersi addosso, si rimboccò le maniche e cominciò a lavorare duramente, per garantire ai suoi due figli tutto quello di cui avevano bisogno. Aveva le idee chiare, mamma Adele, obiettiva e consapevole anche quando si trattava dei suoi ragazzi: Genny lo studioso avrebbe dovuto fare il notaio; per Massimo, invece, meno studioso del fratello, già intravedeva un bel lavoro che lasciasse spazio a estro, fantasia e creatività. 
 
 

Un futuro da notaio, insomma.
«Mamma così aveva deciso. Anche il magistrato, per la verità, le piaceva. Visto che mi ero laureato in giurisprudenza, non riusciva a immaginare altro, se non uno di questi due concorsi».

Invece poi è finito a fare il giornalista.
«All'inizio ci rimase un po' male, poi invece fu contenta. Quando si rese conto che era la mia vera passione, e che lavoravo anche con discreto successo, fu ugualmente molto soddisfatta».

Comunque era un secchione. Almeno così dicono.
«Studioso, direi. Il mio obiettivo non era quello di essere il primo della classe, non sono mai stato troppo interessato alle lusinghe scolastiche. A me piaceva leggere, la storia mi affascinava: a 7 anni mi regalarono un libro sul Risorgimento, lo imparai quasi a memoria, e poi le grandi battaglie medievali che coinvolsero l'Italia, la vita di Giuseppe Garibaldi, quella di Mazzini...».

Una vera passione.
«Ricordo che al liceo l'insegnante di storia e filosofia, Lucilla Albanese, mi faceva spiegare la lezione ai compagni al posto suo. Era convinta che su certi temi riuscissi a farmi capire meglio di lei, che apparteneva a un'altra generazione».

Dove andava a scuola?
«Al liceo Pansini, che poi era la succursale del Sannazaro. Il preside si chiamava Ettore Gentile, assessore alla Cultura nella giunta Valenzi. Quanti scontri abbiamo avuto, discussioni di ore sui grandi temi della politica. Alla fine diventammo amici e ancora oggi lo ringrazio per i suoi insegnamenti. Quando diventai direttore del Roma lo contattai e gli feci scrivere alcuni pezzi».

Anche la politica aveva nel sangue.
«Un'altra passione, che però, diversamente dalla lettura, un po' alla volta ho abbandonato. L'ho coltivata molto da ragazzo, proprio negli anni in cui frequentavo il Pansini e militavo nel Fronte della gioventù. Tra i miei compagni di scuola c'erano anche Eduardo Cicelyn e Antonio Martusciello, con cui sono rimasto amico nel tempo». 

Studio e politica.
«Non solo. Avevo anche diversi amici, ci incontravamo a piazza Vanvitelli, e poi si andava in giro per il Vomero. Benché fossi dedito soprattutto allo studio e mi piacesse pure stare a casa, riuscivo comunque a frequentare qualche amico. Pochi ma buoni». 

Amava stare da solo, dunque.
«La solitudine non mi ha mai spaventato. Ricordo i pomeriggi interi passati al Museo Nazionale, luogo straordinario, a leggere per ore. Anche viaggiare spesso lo facevo da solo. Come regalo della maturità, mia madre mi comprò un biglietto Interrail: girai mezza Europa in treno e feci un sacco di incontri interessanti».

Giornalista viaggiatore?
«Ogni volta che riuscivo a mettere un po' di soldi da parte, compravo un biglietto e partivo. Mia madre lo sapeva: quando voleva farmi una sorpresa, andava in agenzia di viaggi e sceglieva un itinerario. Bei ricordi. Come quando mi portava al miracolo di san Gennaro».

Era devota?
«Molto. Il giorno del miracolo si andava tutti al Duomo ad aspettare che il sangue del patrono si sciogliesse. Ho una piccola collezione di statuette: la tradizione voleva che ne acquistassimo una ogni volta. Poi si tornava a casa e io andavo a conservarla in un cassetto, insieme a quelle comprate gli anni precedenti».

Come mai decise di fare il giornalista?
«Per la verità, ho rischiato anche di fare il medico».

Notaio, magistrato e pure medico?
«Avevo due compagni di classe con cui c'era grande sintonia. Studiavamo insieme molto spesso e, dopo la maturità, loro decisero di iscriversi alla facoltà di Medicina».

E lei?
«Passai una notte insonne, il giorno dopo avrei dovuto scegliere cosa fare. I miei amici naturalmente volevano che li seguissi, dicevano che avremmo potuto continuare a studiare insieme così come avevamo fatto al liceo. Io invece mi sentivo più attratto dalle materie giuridiche, benché lo studio della medicina anche mi piacesse. Dopo una nottataccia passata a rimuginare, decisi che avrei scelto legge per la gioia di mia madre che già mi vedeva notaio».

Invece, niente concorso.
«Dopo la laurea conseguii il PhD, dottorato di ricerca in diritto e economia, con pubblicazione della tesi. Poi mi iscrissi al master in Diritto privato europeo, lo dirigeva il professor Guido Alpa, ancora me lo ricordo: anni bellissimi, di grande impegno, ma ricchi di soddisfazioni».

E il giornalismo?
«Conobbi Michele Prisco e Raffaele La Capria, ero giovanissimo, rimasi affascinato da entrambi che, in maniera diversa, hanno contribuito alla mia formazione. È stato Prisco a insegnarmi a scrivere, è anche a lui che devo la scelta della mia professione. E poi Gerardo Marotta».

Storico presidente dell'Istituto per gli Studi filosofici.
«Ero in classe con la figlia Valeria, che spesso mi invitava a studiare a casa sua. Così conobbi il padre, che mi prese subito in simpatia. Iniziammo a frequentarci, mi portava ai convegni, mi parlava di storia e filosofia, Spinoza, Cartesio ho imparato tanto da lui. Un vero, grande maestro, che non potrò mai dimenticare».
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