I ricordi di Antonio Martusciello:
«Ovidio e il Corsaro nero
le mie letture del cuore»

di Maria Chiara Aulisio
Sabato 5 Gennaio 2019, 18:00 - Ultimo agg. 10 Marzo, 17:31
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Una delle prime cose imparate, guardando la nonna che cucinava, furono le polpette. Quelle alla napoletana, naturalmente: trito di carne, pane raffermo, uvetta passa, pinoli, prezzemolo e un gustoso sugo di pomodoro nel quale affogarle dopo averle appena un po' stordite, passandole in una padella di olio bollente. Antonio Martusciello - ex delfino di Silvio Berlusconi, che nel '93 gli affidò l'incarico di fondare Forza Italia in Campania - non nasconde la propria soddisfazione, quando racconta che a bordo delle navi Silversea, specializzate in crociere di lusso, alla voce main courses di un menu stellato ci sono le polpette alla Martusciello.
 
 

Ottimo cuoco, quindi.
«A furia di vedere la nonna che cucinava, qualcosa l'ho imparata».

Polpette piatto forte?
«Quello è sicuro, ma senza aglio e senza latte nell'impasto».

E di cosa sanno?
«Sono buonissime. Fui io a insegnarle al cuoco austriaco che, dopo il Savoy di Londra, era andato a lavorare sulle navi del mio amico Manfredi Lefebvre».

Si mise lei ai fornelli?
«Eravamo in crociera, ogni giorno ci proponevano le Neapolitan Meatballs che di neapolitan non avevano proprio niente. Chiesi a Manfredi di parlare con lo chef, gli diedi un paio di dritte, e da quel giorno sui menu delle navi Silversea le meatballs lasciarono il posto alle polpette alla Martusciello».

Bella soddisfazione.
«La stessa che provavo quando da piccolo vincevo i campionati di scherma. Facevo lezione con mio nonno, era un maestro. Lo devo a lui, se mi sono tanto appassionato a questo sport».

Anche con buoni risultati?
«Me la cavavo niente male. Avevo letto e riletto il Corsaro nero, uno dei miei libri preferiti da bambino, e il mio obiettivo era diventare bravo come lui a tirare di spada. La scena dell'arrembaggio al galeone di Van Gould è come se l'avessi appena letta».

Sportivo e amante della lettura?
«Leggere mi è sempre piaciuto, fin da bambino. Per la verità, andavo piuttosto bene anche a scuola, studiare non è mai stato un problema. Ricordo che alla maturità ebbi 10 al tema di italiano e 60 come voto finale, più l'applauso dei professori: ero stato il migliore in assoluto. Fu così che mio padre mi rivolse di nuovo la parola, dopo settimane di mutismo».

Avevate litigato?
«Quelli del liceo furono anni di contrasto durissimo con lui, dal punto di vista sociale e politico; ma, devo ammettere, sono stati anche preziosi: mi servirono a crescere e a sviluppare una grande autonomia intellettuale rispetto a tutto ciò che mi circondava. Papà era dirigente sindacale, io al liceo Pansini diventai leader di una organizzazione di sinistra che non lo trovava d'accordo, da qui gli scontri e i lunghi silenzi. Quando gli dissero che all'esame di maturità avevo avuto i complimenti di tutti, non poté fare a meno di congratularsi».

Alunno modello, insomma. 
«Amavo molto il greco e il latino. Mi appassionai a Ovidio, grazie alle spiegazioni di una insegnante straordinaria; ancora la ricordo: Rosaria Cesare, bravissima, a volte durante la lezione si lasciava coinvolgere così tanto da commuoversi. E io con lei. C'era una frase del poeta romano che la Cesare ci ripeteva sempre: Finché sarai fortunato, conterai molti amici; se ci saranno nubi, sarai solo. Una verità che in politica ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle, ma questa è un'altra storia».

Da studente aveva già deciso che sarebbe entrato nel mondo della politica?
«Più volte, in verità, ho pensato di fare il giornalista. Nel 1980, l'anno della maturità, collaboravo con assiduità alla redazione di un giornalino per ragazzi - Scuola e informazione. Fu così che conobbi anche Giancarlo Siani, con cui andai in viaggio a Malta».

In vacanza?
«In realtà, si trattò di una vacanza-studio, che il giornale aveva organizzato coinvolgendo gli studenti più meritevoli dei licei napoletani e alcuni collaboratori. Giancarlo aveva un paio d'anni più di me, ma eravamo in grande sintonia e stabilimmo un rapporto di vera amicizia. Ci perdemmo di vista quando mi trasferii a Milano per proseguire gli studi. Poi ci sono rimasto fino al '93, quando Berlusconi mi spedì a Napoli per fondare Forza Italia».

Quanti anni aveva?
«Poco più di trenta. Era il 10 settembre quando me lo chiese, eravamo ad Arcore, durante una cena all'insegna del tricolore: dal primo al dolce, era tutto bianco, rosso e verde. La torta era buonissima: panna, fragole e pistacchio».

Da Publitalia a Forza Italia, fa pure rima.
«Il progetto politico di Berlusconi mi appassionò. Tant'è che sono rimasto coordinatore regionale per circa 15 anni». 

Di carriera ne ha fatta.
«Silvio mi ha sempre stimato. Nel suo governo mi volle sottosegretario all'Ambiente, e poi, nel 2004, viceministro ai Beni culturali incarico che mi venne confermato anche nel successivo governo. Fu sempre lui a nominarmi componente della Consulta del presidente di Forza Italia».

Poi però ha cambiato mestiere. 
«Sì, ho fatto altro. Dal 2010 sono commissario dell'Agcom. In compenso, la politica continua a farla mio fratello. Lo coinvolsi quando fondai il partito in Campania, alla fine lui è rimasto in campo e io no».

Parla di Fulvio?
«Sì, uno dei miei due fratelli. Il più piccolo. L'altro si chiama Gianluigi, siamo quasi coetanei, da bambini stavamo sempre insieme e facevamo grandi partite di calcetto: io centravanti, lui difensore. Con Fulvio ci ritrovammo qualche anno dopo, quando la differenza d'età cominciò a farsi sentire meno».

Tre fratelli, più suo padre: quattro maschi e una sola donna.
«Mamma si è sempre difesa alla grande. Con lei si filava tutti, papà incluso. Scherzo, è una donna dolcissima, ma ha sempre saputo farsi rispettare. Si chiama Elena, e ancora condivide le sue giornate con mio padre, che ha 94 anni. Devo dire che sono entrambi molto vispi e lucidi».

Prima di chiudere, però, dobbiamo tornare alle polpette: ma veramente vengono buone anche senz'aglio?
«Buone? Chiedetelo a Giancarlo Carriero, il proprietario del Regina Isabella di Ischia. Una volta ne preparai cento, e andarono tutte a ruba. A fine pranzo ricevetti un biglietto: c'era scritto Assunto».
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