Grande Guerra, se Napoli tradisce la memoria di Diaz e della leggenda del Piave

Grande Guerra, se Napoli tradisce la memoria di Diaz e della leggenda del Piave
di Giovanni Chianelli
Domenica 4 Novembre 2018, 08:00
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A cento anni dalla fine della Grande Guerra la piccola mappa delle opere che la città ha posto per celebrare i suoi martiri conduce ai punti più belli di Napoli, da Posillipo al Lungomare, da Capodimonte a Santa Chiara. Si tratta di lapidi, iscrizioni, cappelle votive e statue, più il bellissimo mausoleo Schilizzi, purtroppo spesso non visitabile. Ma il difficile accesso ai monumenti commemorativi è un dato generale: a giudicare dallo stato di conservazione non sembra che i napoletani sentano molto l'anniversario di oggi. Incuria e degrado la fanno da padrone nella maggior parte dei casi. Sarà la distanza storica, la prima guerra mondiale non pare aver lasciato una grande impronta da queste parti, malgrado il pesante tributo in termini di perdite e il fatto che la colonna sonora del conflitto, Il Piave mormorò, fosse stata composta dal partenopeo E.A. Mario.
 
È proprio un'epigrafe ironica a quest'ultimo («Mario, la vostra canzone del Piave qui al fronte vale più di un generale») a introdurre il più evidente dei monumenti cittadini, la scultura equestre di Armando Diaz. Svetta su via Caracciolo dalle parti della rotonda che al generale vittorioso è stata intitolata e gode di buona salute, a parte piccole tracce di spray alla base. Composta da un basamento in pietra su cui è poggiata la statua in bronzo, fu realizzata nel 1936 da Francesco Nagni su progetto del livornese Gino Cancellotti; l'opera fu voluta fortemente dal regime e riporta, sul lato mare, il bollettino integrale della vittoria. Frutto di un'estetica compiutamente fascista, ha linee nette e tonalità chiarissime, ai lati del basamento è decorata da bassorilievi nitidi che evocano scene di combattimento.

È di stile neo egizio il Mausoleo Schilizzi, nella parte alta di via Posillipo, poco prima di piazza Salvatore Di Giacomo. Risale alla fine dell'800 e fu progettato da Alfonso Guerra su volere di un altro livornese, Matteo Schilizzi, un banchiere trasferitosi a Napoli che intendeva ospitarvi le tombe dei suoi familiari. Nel 1921 fu acquistato dal comune e nel 1929 convertito ad «Ara votiva per i caduti della patria». Immancabile spunta la leggenda: al tramonto alcuni residenti affermano di sentire distintamente rumori, guaiti e voci sinistre. Saranno gli spiriti dei caduti o il fantasma del banchiere? Più probabilmente le lamentele di chi a questo splendido luogo non ha accesso. Il mausoleo soffre di diversi problemi strutturali e la sua ristrutturazione, da tempo promessa, non parte. Nel pomeriggio, quando è dichiarato aperto dal sito ufficiale, un grosso lucchetto preclude l'ingresso. Ed essendo chiuso al sabato e la domenica, oggi il principale omaggio napoletano ai martiri di guerra resterà interdetto al pubblico e alle celebrazioni.

Così come la cappella votiva della chiesa dello Spirito Santo, a via Toledo. In questi giorni l'esposizione virtuale Klimt experience copre la vista dell'elenco dei morti durante il conflitto cui normalmente, a quanto riferiscono i responsabili, è fatta visita dai parenti. Nel giorno del centenario non sarà possibile. Ragioni di turismo, certo. Teppismo e rifiuti interessano invece la statua con cui il quartiere Stella ha voluto celebrare i «suoi gloriosi figli periti per la Patria». Siamo a via Santa Teresa degli Scalzi, all'altezza dell'emiciclo centrale della strada, e il monumento che raffigura un soldato è ricoperto di scritte, piazzato in un'aiuola infestata da cartacce e lattine. La lapide a Portagrande, Capodimonte, soffre di incuria: sul lato destro dell'ingresso al parco, è mortificata da un'impalcatura che la rende quasi invisibile, mentre diverse incrostazioni ne rovinano la piccola facciata.

In assenza di una segnaletica e di notizie di facile accesso, a parte il prezioso volume «La Campania e la Grande Guerra. I monumenti ai caduti della Provincia di Napoli» del 2011, per trovare le lapidi si può guardare agli ingressi dei luoghi istituzionali. Nell'atrio dell'edificio centrale dell'università Federico II, a corso Umberto, Adolfo Omodeo, che coprì il ruolo di rettore nel secondo dopoguerra, volle porre due lastre commemorative di marmo con una lista di circa trecento nomi. Omodeo intendeva così recuperare la memoria dei morti in guerra dopo la distruzione dei monumenti a questi dedicati durante l'occupazione tedesca. Altre iscrizioni si trovano a palazzo San Giacomo. Una, sulla destra dopo l'entrata principale, omaggia i dipendenti del comune morti durante la guerra; l'altra, all'interno del municipio, ricorda l'inizio e la fine del conflitto.

Per fortuna c'è Santa Chiara. La meravigliosa basilica trecentesca accoglie, subito dopo l'entrata, sulla destra, un'intera cappella dedicata ai caduti di un secolo fa. Su enormi pannelli di bronzo sono scolpiti i nomi di duemilaquattrocento soldati. Sulla targa più piccola, al centro, è incisa una croce con i nomi di due crocerossine, riconoscimento al contributo della Croce Rossa italiana durante le battaglie.
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