Vesuvio, telecamere
non sono abbastanza

di Antonio Pascale
Martedì 17 Luglio 2018, 08:23
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Un anno fa il parco nazionale del Vesuvio - ce lo ricordiamo ancora- fu devastato da incendi, andarono in fumo decine di chilometri di boschi. 

Ieri il ministro Costa ha presentato un nuovo sistema di prevenzione, ovvero la messa in opera di 35 telecamere: verranno istallate nei punti nevralgici del Parco. Un sistema open gestito dai carabinieri forestali che, appoggiati dal sistema di sorveglianza, avranno un duplice compito: controllare gli eventuali sversamenti illeciti di rifiuti e monitorare eventuali roghi. 
Visto il disastro dell’anno scorso - considerato poi che gli incendi sono avvenuti in un‘area protetta, nonché centro di biodiversità, insomma solo a ricordare il dolore di quei giorni - fa davvero piacere, ascoltare questa notizia e si può applaudire a questa iniziativa. Tuttavia è giusto dire che accanto al sistema di video sorveglianza ci si aspettava qualcosa in più sulla prevenzione. Sappiamo che nell’ambito di una legge quadro - la 353/2000 - le Regioni e i Parchi nazionali hanno l’obbligo di realizzare dei piani Antincendio Boschivi (in gergo Aib): ebbene, sono uno strumento indispensabile per la gestione di tutte le attività legate all’antincendio boschivo. È importante che i suddetti - che hanno scadenza quinquennale - vengano continuamente aggiornati con nuovi dati territoriali, proprio perché le condizioni orografiche e territoriali, nonché le situazioni pregresse, possono cambiare in fretta e mutare il profilo di rischio. 

Il nostro piano Aib del Parco nazionale del Vesuvio risulta, purtroppo, in qualche aspetto carente, bisognerebbe in parte aggiornarlo o spingere poi per attuare davvero le linee guida. Alcuni dati necessari per elaborare i modelli previsionali - senza di questi non si può stilare un elenco di priorità, per esempio, quali sono le zone più a rischio e gli obiettivi da salvaguardare - questi dati, dicevamo, non sempre sono aggiornati, oppure, più precisamente sono dati generali calati un po’ a spinta, a forza, in una condizione antropologica che ha le sue particolarità. 

Per dire, l’anno scorso gli incendi, localizzati tra i versanti Sud-Est del Vesuvio, si sono sviluppati in zone ad alto rischio, c’erano difatti due fattori specifici da prendere in considerazione: la pendenza che favorito una diffusione veloce delle fiamme e l’abbondanza di combustibile, in soldoni, biomassa secca, presente nel sottobosco. Quindi, a tutt’oggi appaiono prioritari quelle operazioni utili a disinnescare i fattori suddetti: oltre all’avvistamento (qui le telecamere potranno fare un buon lavoro), alla segnalazione e al pattugliamento, bisogna, molto prosaicamente e poco poeticamente, pulire i pendii: così da eliminare il potenziale combustibile. Costruire poi linee tagliafuoco. 

Ora, ed è un altro punto carente, senza una buona organizzazione del personale è difficile attuare i suddetti propositi, e purtroppo il personale e i mezzi Aib non appartengono al solo Parco ma sono inseriti in una rete più ampia che durante l’anno è generalmente coordinata da più Enti. Il pericolo è che la gestione forestale e naturalistica del Parco sia confusa nelle fase ordinarie, immaginatevi nella gestione straordinaria. Insomma l’abbiamo capito, prevenire è meglio che curare, oltretutto si risparmia parecchio. Per questo i Piani Aib non devono diventare documenti proforma da presentare al ministero, ma al contrario andrebbero vagliati e analizzati e integrati continuamente e attuati concretamente (e per farlo si capisce le risorse economiche e la programmazione delle priorità sono essenziali), altrimenti rischiamo che i suddetti piani, per quanto belli ed eleganti e giusti, diventino col tempo carta straccia, e quella poi sappiamo che è un ottimo innesto per roghi e fuochi, piccoli o grandi che siano. 
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