Tumore a 11 anni, Alessia muore nel Napoletano: «Uccisa dai veleni che respirava»

Tumore a 11 anni, Alessia muore nel Napoletano: «Uccisa dai veleni che respirava»
di Pino Neri
Martedì 20 Novembre 2018, 23:02 - Ultimo agg. 22 Novembre, 10:12
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«Mentre a Roma si discute (e si litiga) Sagunto viene espugnata». Storica frase rispolverata dal vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, qualche anno fa per denunciare il quadro sconfortante derivante dal lungo elenco di vite umane, spesso giovani, spezzate dal cancro che flagella il territorio simbolo della Terra dei Fuochi: Acerra, Casalnuovo, i vicini comuni del Casertano. Un elenco listato a lutto che l’altro giorno purtroppo si è allungato a causa della tragica scomparsa di una bambina di 11 anni, Alessia Tatiana Atanìa, portata via in pochi mesi da un osteosarcoma fulminante. 
 
Il funerale della giovanissima vittima del tumore è stato celebrato nella chiesa di San Pietro, rione Limitone, ad Acerra, tra centinaia di persone in lacrime, deluse, scoraggiate. Un’amarezza che fuori e dentro la chiesa si è tramutata in rabbia. «Basta con queste morti, ma cosa aspettano? Una rivoluzione o che moriamo tutti in poco tempo ?», si sentiva dire tra la folla. Della piccola Alessia resta un’immagine terribile, quella della sua bici bianca da passeggio lasciata nel cortile della sua abitazione, nel rione Limitone, un edificio affacciato sopra un lunghissimo fosso dei Regi Lagni, discarica di fanghi tossici lunga mezzo chilometro che è andata a fuoco più volte. Intanto il papà di Alessia, Giovanni, e la mamma, Natalia Kit, sono rimasti talmente sconvolti da questa tremenda esperienza che hanno deciso di lasciare l’abitazione in cui hanno vissuto per decenni. Si sono trasferiti in un altro rione di Acerra, al capo opposto. «Hanno lasciato casa una settimana fa – spiega A.I., un vicino – mia madre, che viveva nello stesso palazzo di Alessia, è morta di tumore, a un’età tutto sommato giovane». 
 
Difficile se non impossibile stabilire il nesso di causalità tra i tumori in zona e la presenza della mega discarica di rifiuti sversati nel fosso dei Regi Lagni. Fatto sta che le testimonianze raccolte sono da brividi. «Mia moglie di 64 anni, mia cugina di 60 anni, una signora più avanti, un’altra bambina di 10 anni, si chiamava Rosaria: tutte morte di tumore – racconta Alessandro D’Urso, 71 anni - altre due signore, giovani, si sono ammalate da poco. Abitavano e abitano tutte in questi quattro piccoli isolati. Ma che sta succedendo qui? Noi ogni tanto, soprattutto d’estate, sentiamo ancora i miasmi provenire dal fosso». 

L’Arpac nel settembre 2017 ha reso note le analisi della discarica del «controfosso». In quel periodo, dopo un incendio che ad agosto ha intossicato 72 persone, gli ambientalisti avevano denunciato il sindaco, Raffaele Lettieri, per omessa bonifica. I risultati dei primi esami del terreno sono stati agghiaccianti: metalli pesanti, zinco, rame e idrocarburi in quantità tre volte superiori ai limiti di legge. E poi ferro e alluminio a livelli stellari, trecento volte più dei volumi normalmente contenuti in un terreno agricolo standard.«Qui dentro scaricano ancora – racconta un altro testimone, Rosario De Maria – ho chiamato la polizia e i carabinieri ma quando giungevano sul posto gli scaricatori erano già fuggiti. Arrivano con i camion e scaricano liquidi, sullo sbocco del canale di scolo della fogna di Afragola. Prima sversavano fanghi». «Non c’è controllo del territorio», aggiunge Mario, il figlio di Rosario. Comune e Regione stanno litigando su chi debba bonificare il «mostro». Il Tar ha stabilito che tocca alla Regione.

Restano solo dubbi. «Il sarcoma che ha colpito Alessia ha cause epigenetiche: cellule tumorali trasmesse dai genitori che a loro volta hanno introiettato contaminazioni», il parere di un esperto ricercatore, Antonio Marfella. «Alessia presentava una familiarità - replica l’oncologa dell’ospedale pediatrico Pausilipon, il medico che ha tenuto in cura la bambina - non è dimostrata una causa ambientale anche perché l’unica causa certa di osteosarcoma è la radiazione nucleare. Molti nostri pazienti provengono da zone a rischio ma si tratta di aree molto popolate».
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