«Tredici ore per avere una diagnosi
​la mia notte da incubo al Cardarelli»

«Tredici ore per avere una diagnosi la mia notte da incubo al Cardarelli»
di Maria Chiara Aulisio
Domenica 25 Febbraio 2018, 13:56
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Un'odissea lunga oltre tredici ore. Un calvario che ha preso il via poco dopo mezzanotte con l'arrivo al Cardarelli e si è concluso solo intorno alle 14 quando Anna Capuozzo, 52 anni, finalmente ha fatto ritorno a casa. Tutto è cominciato nel tardo pomeriggio dello scorso 12 febbraio quando la donna ha iniziato ad avvertire forti dolori all'addome. Un malessere che, nonostante gli antidolorifici, non accennava a diminuire. Anzi, a tratti sembrava addirittura peggiorare. Fitte insopportabili per l'intera serata, nausea, vomito e spossatezza fino a quando suo marito, Pasquale Moio, non ha preso la decisione di portarla in ospedale per capirne di più: «Un incubo - racconta Pasquale Moio - una notte che non dimenticherò tanto facilmente. In tredici ore in quel pronto soccorso ho visto davvero di tutto. E meno male che mia moglie, per fortuna, si è ripresa quasi subito altrimenti non so come avremmo fatto: la situazione, credetemi, era davvero di allarme». Dal canto suo Ciro Verdoliva, manager dell'ospedale Cardarelli, informato dell'accaduto fa sapere che approfondirà i dettagli del caso e dichiara che «in termini assoluti, l'obiettivo è quello di poter trattare tutti nel minor tempo possibile». Con una precisazione: «Se un paziente - magari un codice verde - è costretto ad attendere ore è perché a pochi metri di distanza c'è un uomo o una donna la cui vita dipende dal lavoro dei medici e degli infermieri che gli sono accanto. Come direttore generale di un'ospedale che vede in media più di 240 accessi di pronto soccorso al giorno, sono fiero dell'abnegazione e della professionalità che contraddistingue tutti i cardarelliani ai quali confermo riconoscenza a nome di tutti quei pazienti che si rivolgono a noi».

Signora Capuozzo, a che ora è arrivata al Cardarelli?
«Poco dopo mezzanotte, mi hanno dato subito un codice giallo e all'una e mezza circa mi hanno aperto la cartella clinica».

Perché è andata in ospedale?
«Forti dolori addominali. Ma sarei anche rimasta a casa se mio fratello e mia madre non avessero già avuto un infarto. Temevo potesse trattarsi di problemi cardiaci anche per me».

Che cosa le hanno fatto i medici?
«Un tracciato subito e gli enzimi da ripetere dopo qualche ora. Poi mi hanno messo in attesa su una sedia a rotelle perché non c'era neanche una barella libera».

Fino al giorno dopo su quella sedia?
«Nemmeno. Quando ho cominciato a stare un po' meglio l'ho ceduta a una donna in condizioni sicuramente più gravi delle mie e che era rimasta in piedi perché erano finite pure le sedie a rotelle».

Quindi in piedi è rimasta lei?
«Alla fine gli infermieri mi hanno dato una delle loro sedie che sono riuscita a tenermi non senza difficoltà. Per andare in bagno dovevo fare sedere mio marito. Se ti alzi un attimo è la fine: la sedia sparisce».

Tredici ore di inferno, insomma.
«Mi è andata pure bene. C'era gente in attesa anche da tre giorni. Senza contare i ricoverati nei reparti dove non c'era più posto e quindi mandati in pronto soccorso. Un caos mai visto. Sembrava un bivacco: chi mangiava, chi dormiva sulle sedie, gente che si lamentava. E a detta dei portantini era pure una notte relativamente tranquilla».

 


Quanti ammalati in attesa ci saranno stati?
«Almeno una settantina da visitare e non so quanti che aspettavano i risultati o un posto in reparto. I più fortunati erano in barella, gli altri sulle sedie a rotelle indipendentemente dalla patologia, alcuni addirittura su poltroncine di emergenza recuperate ovunque dalla caposala del pronto soccorso. E poi il caos di ambulanze, a un certo punto si è arrivati quasi alla paralisi».
Al netto della lunga attesa come è stata trattata?
«Il personale è straordinario. Medici e infermieri lavorano in condizioni disumane e ce la mettono tutta per far funzionare le cose nel migliore dei modi, purtroppo non dipende da loro: è impossibile gestire una situazione come quella».
In tredici ore a quanti esami è stata sottoposta?
«A parte quelli di rito, dalla pressione ai prelievi, mi hanno fatto un tracciato, un lavaggio e gli enzimi. Per fortuna non era un infarto e così, finalmente, alle ore 13.47 sono stata dimessa».
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