«Così siamo stati traditi dalla giustizia». L'ira dei familiari dell'operaio travolto

«Così siamo stati traditi dalla giustizia». L'ira dei familiari dell'operaio travolto
di Francesca Mari
Mercoledì 27 Giugno 2018, 08:49
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La sentenza arriva come una tegola sulla famiglia di Aniello Miranda, l'automobilista allora 47enne di Torre del Greco che morì nell'impatto con l'auto di Aniello Mormile alle 4.35 di quel 25 luglio, mentre si recava a lavoro a Pozzuoli. In tribunale solo la sorella Maria e il fratello Vincenzo con i rispettivi coniugi che vivono a Terzigno. Non presenti, per non rinnovare ulteriormente il dolore, la madre 75enne Filomena Marra di San Giuseppe Vesuviano - di cui è originaria la famiglia Miranda - la moglie Anna Giaffalli e i figli Mena e Angelo di Torre del Greco. «Fino ad oggi credevamo nella giustizia, da oggi non ci crediamo più». A parlare, a nome di tutta la famiglia, Maria Miranda, sorella minore di Aniello che a stento trattiene le lacrime.

Cosa provate di fronte a questa sentenza?
«Tanta delusione, rabbia e la sensazione di essere stati traditi dalla giustizia in cui, fino a poco prima, riponevamo fiducia; ci sentivamo protetti. Certo, comunque saremmo andati via a mani vuote perché Aniello non ce l'avrebbe restituito nessuno, ma almeno avremmo avuto giustizia».

Cosa vi aspettavate dal giudizio in Appello?
«Il procuratore generale aveva chiesto la riduzione a 16 anni; noi pensavamo ad un ulteriore riduzione a 13, ma non alla pena dimezzata. Che poi si sa, in Italia, tra buona condotta e ulteriori sconti tra qualche anno l'assassino di mio fratello sarà libero di circolare per strada. Ed io che dovrò fare se lo incontro? Non oso immaginare».
 

Assassino, dice
«Sì, certo. Non credo assolutamente all'omicidio colposo e nessuno di noi crede alla sua versione sulla perdita di memoria. Lui stesso ha dichiarato di reggere bene l'alcool ed era consapevole di ciò che faceva. Mio fratello è stata la vera vittima di questa follia perché inconsapevole e ucciso mentre si recava a lavoro con sacrificio».

Cosa intendete fare adesso?
«Per ora attendiamo le motivazioni della sentenza e poi i nostri avvocati decideranno sul da farsi. Ma siamo veramente tutti delusi, senza forze come se avessero ucciso un'altra volta Aniello».

Cosa pensa di Aniello Mormile?
«Che è una persona impassibile, senza sentimenti. Quando lo vedo mi da l'impressione che possa accadere di tutto, ma a lui non importi. Non mi sembra una persona normale: se lo fosse stata non avrebbe fatto ciò che ha fatto. D'altronde non abbiamo avuto le scuse nemmeno dai suoi genitori: per la madre il figlio è un eroe».

E la famiglia di Livia Barbato?
«Con la famiglia di Livia si è creato un rapporto di solidarietà, soprattutto con il padre. Ci vediamo solo in tribunale ma siamo uniti nel dolore. Con loro ancora ci chiediamo il perché... perché Mormile l'abbia fatto».

Cosa è cambiato nella vostra famiglia dal giorno della terribile tragedia?
«Tutto. Sono cambiati gli equilibri, anche perché Aniello, primogenito, dopo la morte di nostro padre fungeva da collante. Mia madre è ancora sotto choc e fa ricorso ad antidepressivi. Le dirò della sentenza con cautela per non sottoporla ad altro stress, inventerò una scusa per non farle vedere il telegiornale. Vivono nel dolore, dignitosamente, mia cognata Anna, Mena, che quest'anno si laurea realizzando il sogno di papà Aniello che la voleva laureata e sposata, e Angelo che è fuori Napoli per lavoro».

Cosa direbbe a Mormile?
«Gliene direi quattro, non mi faccia sbilanciare. Con quel gesto inaudito ha rovinato tre famiglie, la nostra, quella di Livia e la sua. Ciò che ci rende giustizia è solo la memoria di nostro fratello: un uomo perbene, dedito solo al lavoro e alla famiglia, buono, altruista e amato da tutti».
 
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