Scuola, Sud senza tempo pieno: soltanto una classe su cinque

Scuola, Sud senza tempo pieno: soltanto una classe su cinque
di Marco Esposito
Martedì 20 Febbraio 2018, 08:34 - Ultimo agg. 10:20
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Il 57,1% in Piemonte e il 9,7% in Sicilia. Un divario che nei suoi valori estremi tocca il massimo di sei a uno. Il tempo pieno alle scuole elementari è una libera scelta - colta dalla maggioranza dei genitori - in tante regioni del Centronord e un’opzione rara nel Mezzogiorno, dove spesso le famiglie non hanno l’opportunità di scegliere. Le ore scolastiche in più (o in meno) possono spiegare altri divari, sebbene non tutti, come si dirà.

Le cifre sono note da anni, ma proprio perché scontate finiscono sottotraccia nelle analisi. Ci si accontenta della facile considerazione che nel Mezzogiorno ci sono meno servizi perché c’è meno richiesta. Addirittura c’è chi - i tecnici della Sose, la società che misura i fabbisogni standard - hanno proposto al Parlamento di certificare questo divario sostenendo che lo Stato non deve preoccuparsi di assicurare i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (le virgolette sono lì perché così recita la Costituzione) perché la Costituzione va interpretata in modo che i diritti sociali siano differenziati lungo la penisola in base alla domanda. Cioè se ricevi meno vuol dire che chiedi meno e quindi è giusto essere trattati come cittadini di serie B.

Su questa ipotesi, la Commissione bicamerale sul federalismo fiscale nel suo ultimo atto a gennaio prima della fine della legislatura ha invitato il Parlamento - il prossimo, si intende - a pronunciarsi: vogliamo davvero, chiedono, che i diritti essenziali siano garantiti su tutto il territorio nazionale oppure preferiamo che siano maggiori o minori in base alla domanda?
 
In attesa della risposta politica, i numeri sul tempo pieno segnalano una differenza Nord-Sud che può essere sintetizzata così: alla fine del percorso scolastico delle elementari, è come se gli alunni del Nord fossero rimasti in classe un anno in più. Le elementari possono svilupparsi su un orario minimo di 24 ore (ipotesi rara in tutte le regioni) oppure su un orario settimanale di 27 ore o, ancora, di 30 ore. Solo quando si arriva alle 40 ore settimanali, comprensive della mensa, può parlarsi di tempo pieno. Se si fa la media delle scelte in alcune regioni del Centro e del Nord - Piemonte, Lombardia, Toscana e Lazio - si arriva a 35 ore di impegno a scuola per l’insieme degli iscritti (prendendo come base la prima del 2016/2017). In Campania e in Puglia la media è di 30 ore e in Sicilia si scende a 29. La differenza settimanale, moltiplicata per i cinque anni scolastici, porta quasi un anno-base di divario in favore delle regioni del Centronord. Vale a dire come se le elementari fossero durate sei anni invece di cinque.

«La differenza - spiega Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia alla Cattolica di Piacenza e autore della ricerca “Il tempo pieno nella scuola primaria italiana”, lavoro tradotto in tedesco ma mai discusso pubblicamente in Italia - non ha conseguenze dirette sull’apprendimento, almeno per quella parte delle competenze di italiano e matematica misurate dai test Invalsi».

L’Istituto di valutazione della scuola italiana nelle sue analisi non segnala se c’è una correlazione tra esiti dei test e tempo scolastico. La prima ricerca è stata effettuata proprio da Triani con la collaborazione del sociologo e insegnante bresciano Paolo Barabanti. «Si è fatto un esame approfondito in Lombardia e i bambini che hanno frequentato il tempo pieno non hanno un risultato migliore o peggiore nei test Invalsi rispetto agli altri. In base alle analisi dei punteggi Invalsi in tutta Italia posso confermare che le differenze appaiono casuali».

In effetti nella circoscrizione Sud, che comprende la Campania, nei test Invalsi di italiano i bambini di quinta che ottengono il punteggio più alto sono quelli che restano a scuola di meno, cioè 24 ore (213 punti contro una media nazionale di 200) seguiti da quelli a tempo pieno (201 punti) con in coda gli orari da 27 a 30 ore a quota 197 punti. Situazione analoga in matematica, con il miglior punteggio Invalsi per chi è in aula 24 ore a settimana (206 su 200) seguiti da 27 ore (198 punti), 40 ore (197 punti) e 30 ore (192 punti). 

«Il tempo pieno - spiega Triani - non incide sulle competenze Invalsi e in fondo non è quello il suo obiettivo. Le 40 ore nella scuola primaria nascono per arricchire i curriculum dei bambini di una pluralità di linguaggi. Semmai dobbiamo chiederci se il tempo pieno ha ancora questa funzione oppure è solo un modo di tenere i bambini a scuola mentre le famiglie sono impegnate al lavoro. Il mio invito è tornare all’idea originaria del tempo pieno. Solo così, al Nord come al Sud, se ne potrà vedere un beneficio. Oggi accanto a situazioni di eccellenza vi sono esperienze fragili, nelle quale al cambiamento organizzativo non corrisponde una reale innovazione didattica». 
 
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