Il dramma dei Quartieri Spagnoli
sfollati per strada: «Abbandonati»

Il dramma dei Quartieri Spagnoli sfollati per strada: «Abbandonati»
di Fulvio Scarlata
Mercoledì 19 Settembre 2018, 09:47
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Stanchi, stremati, inferociti, senza soldi, vestiti, un futuro certo, traditi da quel vicino che da queste parti è un po' come un parente, abbandonati dal Comune, che gli ha offerto solo una palestra con delle brandine, neanche un lenzuolo e un cuscino, di asciugamani nemmeno a parlarne. I 29 sfollati di via Don Minzoni, nove famiglie, sono per strada. Come per strada, sulle scale della vicina piazzetta Rosario a Portamedina, hanno dormito la notte di lunedì. Il racconto degli attimi dell'esplosione che ha sconvolto anche la loro vita si ripete ormai a cantilena, con la consapevolezza di averla scampata per un niente e il presentimento che di loro nessuno si ricorderà.
Sono vicoli bui con i palazzi incrociati in modo che il sole non entri mai, quelli della Pignasecca. Mura scrostate, bassi con i balconi aperti per catturare un po' dell'aria umida e attaccaticcia che ristagna tra basoli, stradine che si interrompono con le scale, panni appesi tra fili tirati su mura appena coperte con teloni di plastica blu, stendibiancheria infilati ovunque, magliette e vestiti infilati in grucce appese con destrezza utilizzando una mazza di scopa sulle coperture di terrazzini che ampliano gli spazi interni rubandoli alla strada.
 
Una periferia lontana infilata nel cuore del centro storico. L'ospedale dei Pellegrini è lì, a pochi metri, però il mondo di via don Minzoni appartiene ad un'altra epoca e a un'altra dimensione. Anche Palazzo San Giacomo è a poche centinaia di metri, ma il terzomondista Luigi de Magistris, impegnato ad accogliere una scuola di Copenaghen, da queste parti non si è fatto vedere neanche per portare un minimo di solidarietà. «I vigili del fuoco non ci hanno detto quando possiamo rientrare, il Comune ci ha dato una brandina in una palestra: ma come possiamo fare? - urla Laura De Rosa, 64 anni - sono invalida, soffro di epilessia, dove vado?».
La sensazione è che se lo scoppio fosse avvenuto altrove, a Chiaia o al Vomero, una soluzione per gli sfollati sarebbe stata trovata subito. Ma chi vuoi che se ne importi di Luigi, 14 anni, che razzola nella strada dove ha visto la morte in faccia, in un giorno di libertà dalla vita da garzone di un fruttivendolo, perché anche la scuola è un lusso. È lui che stava proprio sotto al palazzo al momento dell'esplosione: «Mia madre mi stava chiamando - racconta - perché aveva visto l'appartamento di Antonio Cavalieri che andava in fiamme. Mi ha gridato: vieni via. Io mi sono messo a correre poi c'è stata l'esplosione, mi è piovuto addosso di tutto, sono svenuto. Però dopo quattro ore uscito dall'ospedale».
La scuola ha invece salvato la figlia di Angela De Nunzio, 31 anni: «Sì perché noi abitiamo proprio sotto l'appartamento esploso e Maria, quando è in casa, è solita stare con il telefonino sul suo letto, quello che ora è coperto di vetri e calcinacci. Siamo disperati: non possiamo dormire su una brandina senza neanche un cuscino, ma non possiamo restare di nuovo per strada. Sono 32 ore che siamo sveglie. Qui siamo una grande famiglia, una vicina ci ha dato da mangiare, ci ha fatto fare la doccia perché eravamo sporche della polvere piovuta dal palazzo. Ma va bene un giorno, e poi? Le case dei nostri parenti sono piccole, neanche mia madre può ospitare la nostra famiglia di quattro persone».

Prevale un sentimento di sbandamento. Perché se da Palazzo San Giacomo non arriva nessun segnale (per ieri sera era stata assicurata una bottiglina d'acqua e una pizza, quasi fosse una scampagnata) neanche dai vigili del fuoco arrivano certezze su quando sarà possibile rientrare in casa. Eppure i pompieri, da queste parti, sono degli eroi. «Devo ringraziarli - racconta Elisabetta Valentinelli - Perché quando è scoppiato l'incendio, prima dell'esplosione, li avevamo chiamati e sono arrivati subito. Il mio bimbo, Mario, di tre anni, mi era sfuggito per inseguire un cagnolino e solo per la prontezza di un vigile del fuoco, che lo ha preso al volo, non è finito sotto i calcinacci che cadevano dall'alto».
Il palazzo evacuato giallo e con un rivestimento del basamento in elegante pietra grigia continua a restare off limits. Gli inquilini sono scappati con quello che avevano addosso: top leopardati, pantaloncini in stile militare intonati con lo stesso motivo maculato delle scarpe, vestiti viola o neri, pantofole e ciabatte. Come quelle che ancora indossa Giovanni Violante, originario di Capo Verde: «Vorremmo avere il permesso di tornare a casa a prendere qualcosa. Così non possiamo stare. Come non possiamo dormire in una palestra tutti insieme, uomini, donne, bambini, anziani». È l'abbandono, quello che pesa. Perché anche la chiesa del Rosario a Portamedina resta rigorosamente chiusa, sigillata nelle alte cancellate. Resta solo una madonnina azzurra con le braccia aperte, in un'edicola alla fine del vicolo, a dare la speranza che da qualche parte una forma di accoglienza ci sarà anche per la gente dei Quartieri Spagnoli.
 
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