La madre del 13enne in coma etilico: «Sembrava morto, mi sento in colpa»

La madre del 13enne in coma etilico: «Sembrava morto, mi sento in colpa»
di Melina Chiapparino
Lunedì 28 Maggio 2018, 07:30 - Ultimo agg. 15:29
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«Ho creduto di averlo perso per sempre». Simona pronuncia queste parole tra le mura dell'ospedale Santobono dopo aver rivisto finalmente aperti gli occhi di suo figlio. Il 13enne, soccorso per un grave stato di coma etilico a San Sebastiano al Vesuvio, è fuori pericolo da ieri pomeriggio, ricoverato nel reparto di Rianimazione del nosocomio pediatrico napoletano. 

Dopo una notte di lacrime e preghiere, la mamma ha potuto tirare un sospiro di sollievo ma resta da capire come sia potuto accadere che il 13enne abbia assunto quantità massicce e quasi mortali di alcol e sostanze cannabinoidi, come hanno rilevato i test effettuati dai sanitari. Tutto è cominciato sabato sera, da quella che doveva essere una semplice festa con gli amici, a San Sebastiano al Vesuvio. Appuntamento alle 21 circa con la comitiva di sempre per trascorrere una serata spensierata ma già dopo poco più di un'ora il minore non risponde alle telefonate di Simona che, come era solita fare, voleva strappare qualche minuto di chiacchierata al figlio per assicurarsi che tutto fosse a posto. 
 

Quando finalmente il cellulare del 13enne smette di suonare a vuoto, intorno alle 22.30, dall'altra parte del telefonino risponde un amico del ragazzino che, farfugliando delle scuse, spiega alla madre che il figlio si era allontanato un attimo. Sono solo una manciata di minuti quelli che trascorrono prima di un'altra telefonata in cui Simona, sempre più preoccupata e insospettita da quegli atteggiamenti, apprende, dallo stesso amico che le aveva risposto in precedenza, che stava arrivando un'ambulanza per i soccorsi. La 46enne, separata dal marito e con un'altra figlia di 14 anni a casa, corre con il cuore in gola dal minore e arriva quando l'equipe del 118 gli sta prestando i primi soccorsi. 

«Ho visto mio figlio morto - racconta la donna con la voce spezzata dal dolore - non si muoveva, ho cercato di strattonarlo e di parlargli ma senza alcuna reazione, ho pensato che non lo avrei rivisto più vivo e sono salita con lui in ambulanza, tenendogli la mano». Da quell'istante comincia la notte di angoscia e paura di Simona e dei familiari del 13enne, descritto da tutti come un ragazzo perbene e tranquillo. 
 
«Pregavo e chiedevo a Dio di darmi la forza dopo aver visto mio figlio praticamente annientato - continua Simona - non è possibile che dei ragazzi si facciano così del male e non è tollerabile». Eppure, secondo quanto riferito dai parenti del minore, non ci sono mai stati problemi riconducibili all'uso di alcol o droghe per il 13enne che, come molti suoi coetanei, provava ogni tanto ad assaggiare un sorso di vino o di birra nelle occasioni conviviali in famiglia. «È inutile che ci nascondiamo, noi genitori, dietro le negazioni assolute ai nostri figli - aggiunge Simona - mi riferisco al fatto che, ogni tanto, può essere capitato di aver fatto assaggiare un sorso di vino per insegnare ai figli a gestire certe situazioni, soprattutto in previsione di quando si trovano fuori casa, ma non bisogna strafare e alla fine mi sento anche io responsabile».

Ora le condizioni del ragazzo sono stabili e, probabilmente, nelle prossime 24 ore i sanitari potrebbero trasferirlo nel reparto di pediatria. Tra le mura dell'ospedale, dove si affollano i pensieri e i dubbi alla ricerca di un perché a tutto questo, Simona riflette su una frase pronunciata dal figlio pochi giorni fa. «Mi ha detto che non c'era nulla da bere alla festa della scuola - spiega la donna - una frase che ora rimbomba nella mia testa e mi fa pensare, probabilmente bisogna essere più duri, fare i dittatori e vietare assolutamente determinate cose ai figli». Di certo la responsabilità di questa tragedia sfiorata è anche da ricondurre «alla superficialità e alla ricerca dei soldi a tutti i costi degli esercizi commerciali della movida e di chi, pur vedendo che si tratta di minori, somministrano alcolici» insiste Simona, ancora incredula e sotto shock per l'accaduto. 

«Se ognuno di noi mettesse una goccia in questo oceano, potremmo aiutare tutti questi giovani a non lasciarsi andare - conclude - non parlo solo per mio figlio ma questa condizione ci riguarda tutti». Dopo la notte più lunga mai vissuta da Simona, ieri mattina il figlio è riuscito a parlarle per oltre un'ora, riprendendo lucidità e conoscenza. «Ti amo» sono state queste le prime parole pronunciate dal minore, appena rivisti i grandi occhi azzurri di Simona, gonfi e rossi per le lacrime.
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