Quartieri Spagnoli, il dramma di Rita: una vita di stenti stroncata dalle fiamme

Quartieri Spagnoli, il dramma di Rita: una vita di stenti stroncata dalle fiamme
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 18 Settembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 12:20
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Rita usciva tardi, di sera. Forse per pudore, sicuramente per non farsi notare dai vicini. Di giorno restava ad accudire i due figli: Antonio, che di tanto in tanto scendeva per dare sfogo ad una rabbia ricorrente, quasi ce l'avesse col mondo intero; e Francesca, costretta già a 36 anni a muoversi imbracata nei pannoloni per una grave patologia che le impediva di camminare regolarmente e la condannava all'incontinenza. Rita se ne andava in giro, dopo mezzanotte, quando chiudevano le paninoteche e le tavole calde di via Toledo per cercare nei cestini dei rifiuti qualche residuo di cibo abbandonato. Rita adesso è morta. Il suo corpo senza più vita, riverso sul pavimento in una stanzetta al quarto piano di una vecchia casa dei Quartieri spagnoli, lo si scorgeva dall'appartamento della casa di fronte. Ed era l'icona di una fine disperata: le braccia allargate, un'immagine che ricorda un corpo messo in croce.
 


Dietro la tragedia che scuote i vicoli del centro storico fa capolino e prende contorni più definiti una vita di stenti e di disagi sopportati fino alla fine con immensa dignità. Perché dopo il fallimento del suo matrimonio, Rita Recchione aveva deciso di farsi carico di tutto: del lavoro intermittente, dell'affitto che diventava mese dopo mese sempre più pesante, ma soprattutto di quei due figli sfortunati e soli. «Era una brava donna - dice ora una donna ossigenata che fa capolino da un basso popolato da quattro marmocchi e tre cagnolini - Puverella, povera femmena, non meritava di finire così...».

Il disagio psichico di Antonio - che ieri si è trasformato nel suo carnefice - e l'insostenibile malattia di Francesca, che talvolta pure riusciva a trascinarsi nelle sortite notturne alla ricerca di cartocci con residui di wurstel e panini abbandonati in strada, le avevano fiaccato il corpo e la mente. Ma riusciva a resistere, ogni giorno. Nonostante tutto.

I segni di una vita senza agi materiali e morali si schiude agli occhi dei soccorritori, ma anche di chi è riuscito - dalle finestre dei vicini - a scorgere la miseria degli arredi, gli scatoloni pieni di chissaché stipati uno sull'altro in ogni angolo, e un disordine che forse meglio di ogni altra cosa oggi rispecchia la mente di chi ha fatto saltare in aria tutto con il gas. Ora calcinacci e polvere ricoprono tutto, ma il corpo di Rita, steso in terra a braccia allargate, sembra essere stato risparmiato da quella furia, quasi a volerle risparmiare un estremo oltraggio.

Della sua vita da sposata si sa poco e niente. A ricostruirla sono, ancora una volta, alcuni vicini. Un'altra donna rivela che qualche tempo fa il marito della 65enne si sarebbe rifatto vivo: tentando la carta spettacolare di «C'è posta per te». Aveva inviato un appello a moglie e figli: «Riconciliamoci, voglio riabbracciarvi e stare con voi per il tempo che mi resta da vivere». Ma quella richiesta era stata respinta al mittente: e a quanto pare - un ruolo determinante nella chiusura definitiva con l'uomo era stato proprio lui, Antonio. «Non ne voleva proprio sapere del padre», conferma una conoscente dei tre. Lei aveva continuato a fare sacrifici, da sola. Lavorando a ore come badante in casa di un'anziana. Poi aveva perso il lavoro: per la donna era diventato davvero difficile sbarcare il lunario, pagare il fitto di casa e con regolarità le utenze. La loro vicenda però non era conosciuta ai servizi sociali del Comune perché, come ha spiegato il vicesindaco di Napoli Raffaele del Giudice, «non era mai giunta alcuna segnalazione».

E allora, se questo è il quadro desolante nel quale si dipana il dramma che ieri sfocia in tragedia, viene da chiedersi perché ci sia anche chi - tra i coinquilini della vittima - sostiene invece che la vita di Rita e dei suoi figli fosse solo frutto di colpevole sciatteria. «Quelli là? - dice un vicino di casa che teme adesso per la statica del suo appartamento, dopo i danni causati dall'esplosione - Quei tre non avevano bisogno di elemosina da nessuno. Vivevano un'esistenza trasandata. Con le pensioni sociali e di invalidità in quella casa entravano tremila euro al mese, state a sentire me che lo so...». Ma forse sono solo ombre cattive gettatae sull'esistenza di Rita e dei suoi due figli.

Perché poi ci vuol poco a capire che nel quartiere a Rita tutti volevano bene. «Ma lei era troppo dignitosa - affermano due donne di mezza età che conoscevano da anni la vittima».
La tensione si fa palpabile nelle ore successive all'esplosione che avrebbe potuto causare un disastro ancora più grave in termini di morti e feriti. E arriva al culmine quando sul posto compare il proprietario dell'abitazione oggetto di uno sfratto per morosità. «Che ci sei venuto a fare? Non ti basta quello che è successo?», urla un uomo trattenuto a forza dalla moglie. Ma c'è il cordone delle forze dell'ordine a evitare che la rabbia si incanali nel peggiore degli alvei e aggiunga dolore al dolore. «E adesso - si chiede una giovane che di tanto in tanto andava a trovare Francesca Cavalieri a casa - adesso che fine farà quella povera donna?». Ed è una domanda alla quale nessuno sa dare risposta.

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