«Napoli, cravattari in aumento: boom del 30 per cento»

Dopo il Covid, più aziende in ginocchio: «Ecco il report sul pressing delle cosche»

La procura della Repubblica
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Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Martedì 19 Dicembre 2023, 00:03 - Ultimo agg. 19:00
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Fenomeno in crescita. Che non risparmia nessuno. Tra le vittime anche professionisti, già i professionisti: parliamo di studi di consulenze, su cui - negli ultimi tempi - si è abbattuto il pressing usuraio. Una realtà che crea allarme, spiegano gli osservatori, con un dato numerico che parla da solo: «Rispetto al 2019, abbiamo registrato un incremento di episodi a sfondo usuraio del trenta per cento».

Parola di Luigi Cuomo, leader di un’associazione che si batte contro racket e usura in tutto il territorio metropolitano. È facile incontrarlo in un’aula di giustizia, dove accudisce imprenditori e vittime che in questi anni hanno denunciato i propri aggressori. Accanto al penalista napoletano Alessandro Motta (legale dell’associazione Sos impresa), Cuomo ha le idee chiare su quanto sta accadendo a Napoli e dintorni: «Non tutti sono riusciti a rialzarsi dopo gli anni di stallo, anche di fronte alla difficoltà di accesso al credito.

C’è chi ha ceduto e si è rivolto al prestito di prossimità, vedendosi poi costretto ad inseguire tassi da cravattari». Ma di quanto cresce il fenomeno? Non ci sono dubbi da parte degli osservatori di categoria?

«Del trenta per cento rispetto a un recente passato», spiega Cuomo. Ma come si presenta il fenomeno alle soglie del 2024? È cambiato - sembra di capire - è diventato decisamente più raffinato e capillare. In che senso? Si passa dal prestito all’infiltrazione, per arrivare al riciclaggio. Denunce alla mano, sembra chiara la traiettoria disegnata da soggetti più o meno collegati alla camorra: vengono prestati soldi a strozzo, poi - di fronte all’impossibilità della vittima di coprire gli interessi - arriva il piano b: il criminale entra nella compagine societaria della sua vittima. Magari non in chiaro, magari passando attraverso i propri prestanome, in modo da arpionare una parte consistente dell’asset di un’azienda. E non è finita. Tramite questo tipo di pressione, si ottiene anche un altro obiettivo: quello di ripulire - sempre attraverso i propri prestanome - soldi di origine illecita. Una sorta di mossa in tre step: usura, racket, riciclaggio. In un clima di minacce che consente di entrare nel cuore dell’economia cosiddetta pulita. 

Una volta piazzate casalinghe o disoccupati negli asset di bar, tabaccherie, autorimesse, officine meccaniche il gioco è fatto. Chi possiede un esercizio commerciale è costretto a fare un passo indietro, di fronte alla necessità di colmare il proprio debito; chi entra in una compagine societaria lo fa garantendo un’operazione cosmetica per la camorra, decisiva per il rafforzamento territoriale di boss e gregari. È uno scenario che ha investito un’intera area metropolitana, proprio negli anni della cosiddetta ripresa post covid. 

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Spiega Cuomo: «Si tratta di operazioni a bassa intensità, ma particolarmente incisive ed efficaci nell’ottica di affermazione di un clan. Da un lato si prestano soldi, dall’altro si controllano le aziende, con infiltrazioni apparentemente legali o comunque formalmente impeccabili». Ma come avviene questo genere di strategia? «Leggo sempre lo stesso canovaccio, indipendentemente dal territorio - spiega Cuomo -, a dimostrazione di un fenomeno che si riproduce sempre con gli stessi mezzi. C’è chi si rivolge all’usuraio, dicendo che è l’uomo che “notoriamente” presta soldi a interesse. Un’espressione da bridi, quel “notoriamente”, perché significa che l’usuraio rappresenta un presidio sul territorio conosciuto a tutti. Ed è su questo carattere di notorietà che bisogna combattere, è su questa dimensione che bisogna intervenire, anche per spezzare la catena che passa dalla sofferenza del singolo esercente all’infiltrazione mafiosa, per poi approdare a un sistema di ripulitura del denaro sporco in una operazione formalmente inappuntabile».

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