Napoli, il brigadiere arrestato si difende: «Mai al soldo della camorra»

Napoli, il brigadiere arrestato si difende: «Mai al soldo della camorra»
di Viviana Lanza
Domenica 22 Aprile 2018, 08:32 - Ultimo agg. 12:43
3 Minuti di Lettura
«Ho sbagliato a frequentare Fucito, ma non sono uno stipendiato dal clan. Non ho mai favorito la camorra e quando mi sono interessato al lavoro dei miei colleghi l'ho fatto per fingere un interessamento agli occhi di Fucito».

Ecco in sintesi la difesa di Lazzaro Cioffi, classe 1962, il carabiniere originario di Casagiove che per anni è stato in prima linea nell'attività di contrasto alla criminalità organizzata lavorando nel reparto investigativo di Castello di Cisterna, che nel 2006 ebbe un encomio per il suo contributo in una retata contro un gruppo di narcos e che da alcuni giorni è in cella e al centro di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia con l'accusa di complicità a favore della camorra.
 
Cioffi, assistito dall'avvocato Bruno Cervone, è comparso ieri mattina davanti al gip Francesca Ferri per l'interrogatorio di garanzia. Una tappa obbligata dopo la misura cautelare notificatagli tre giorni fa. Il brigadiere dei carabinieri è apparso molto provato: le accuse che gli inquirenti hanno messo nero su bianco pesano come un macigno sulla sua carriera e su di lui. Cioffi ha risposto a tutte le domande del gip e ha provato a chiarire la sua posizione nell'inchiesta e dare la propria chiave di lettura a fatti e parole intercettate dagli investigatori. E non si esclude che all'interrogatorio di ieri possa seguire un interrogatorio anche davanti al pubblico ministero Mariella Di Mauro, il pm del pool anticamorra che con il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli è titolare dell'inchiesta. «Ho sbagliato», avrebbe ammesso Cioffi quando le domande del giudice hanno mirato ad approfondire i dettagli dei suoi rapporti con Pasquale Fucito detto «Shreck», uomo ritenuto un esponente del clan Ciccarelli che opera nel settore del traffico di stupefacenti, con un ruolo, secondo gli inquirenti, di manager del sistema delle piazze di spaccio nel Parco Verde di Caivano. Non ha negato, Cioffi, di essere sempre stato a conoscenza dello spessore criminale di Fucito ma ha ricondotto la loro frequentazione a questioni legate alla vendita di un ristorante a Caserta in passato gestito da sua moglie. Tutto, secondo la versione di Cioffi, ruoterebbe attorno alla compravendita di quel locale. Anno 2015, il ristorante non rende come si vorrebbe e i coniugi Cioffi decidono di cederlo, in zona si sparge la voce e il brigadiere dei carabinieri si ritrova a parlarne anche con Pasquale Fucito che gli presenta un acquirente. L'affare va in porto e il ristorante viene venduto. Chi lo acquista è un parente di Fucito. L'accordo prevede un anticipo pagato con un assegno e il resto da saldare a rate mensili che a un certo punto però Cioffi, a suo dire, avrebbe smesso di incassare, lamentandosene con Fucito e insistendo con lui per avere il denaro che gli spettava. Questa la difesa dell'indagato che ha negato di aver incassato per il ristorante quasi il doppio del suo valore di mercato (circa 120mila euro a fronte di 60mila) e di essere stato al soldo del clan. «Non ho mai preso denaro» ha tenuto a ribadire. E a proposito di un episodio agli atti, ricostruito dagli inquirenti anche attraverso una serie di intercettazioni e relativo a una perquisizione a carico di persone legate al gruppo camorristico, Cioffi ha spiegato di aver finto un interessamento allo scopo di tenersi buono Fucito da cui sperava di avere informazioni utili alle sue indagini ma non al fine di condizionare il lavoro dei colleghi. Fucito, per gli inquirenti, si fidava di Cioffi al punto da affidargli persino il suo figlioletto. Il carabiniere si è difeso: solo carità verso un bambino che appariva bisognoso di un aiuto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA