Arturo, c'è ancora il giallo
del quarto minorenne

Arturo, c'è ancora il giallo del quarto minorenne
di Leandro Del Gaudio
Domenica 11 Novembre 2018, 10:07
4 Minuti di Lettura
Resta l'anello mancante del caso Arturo. Il quarto nome, l'ultimo componente del branco di via Foria, quella sorta di babygang che stava per uccidere uno studente di 17 anni. È il più piccolo del gruppo, si chiama C.T., ha legami di parentela con soggetti in odore di camorra (cosa abbastanza comune in una zona come il rione Sanità), ed è indicato come quello che ha materialmente sferrato le coltellate al collo e al torace di Arturo. Non è processabile, in quanto è un under 14, ma rischia di essere affidato ai servizi sociali, se su di lui venissero confermate le indagini della Procura dei minori. Rischia di essere tolto alla famiglia di origine, se le accuse che gli vengono mosse venissero confermate dalle nuove verifiche messe in moto dalla Procura dei minori. Strana posizione quella di C.T., il più piccolo di tutti.

È lui ad aver riaperto il caso Arturo, grazie alle indagini della penalista Carla Maruzzelli, che ha avuto il merito di indicare una possibile strada alternativa alle prime conclusioni della Procura, facendo un gesto elementare nel suo genere. Decisiva è stata infatti la consegna del cellulare del 12enne, con tanto di perizia di parte sulla rete di contatti intrecciati dall'indagato in quel maledetto lunedì pomeriggio. Era il 18 dicembre di un anno fa quando, secondo le conclusioni difensive, il ragazzino avrebbe organizzato una partita di calcio alla quale teneva molto.
 
Non una partitella di quelle che avvengono all'angolo della strada con un via vai di calciatori, con squadre che si «apparano» e si scompongono in pochi minuti, ma la «semifinale» ufficiale del torneo della parrocchia. A leggere la sequenza delle chat di C.T., gli orari in cui si organizza (contattando anche altri calciatori in erba) e si muove verso il campetto della parrocchia sono a ridosso dell'ora in cui avviene il ferimento di Arturo.
Un alibi di ferro? Indagini in corso, ci sono alcuni punti su cui riflettono oggi i magistrati della Procura guidata da Maria De Luzenberger, che fa leva su un paio di punti difficili da superare. Il primo: ad accusare esplicitamente C.T. è uno dei tre ragazzini due giorni fa condannati a nove anni e tre mesi, al termine del primo grado di giudizio sui fatti di via Foria; il secondo: difficile raccogliere testimonianze utili sul quel pomeriggio del 18 dicembre di un anno fa. In questi mesi, investiti da una delega ad hoc della Procura di Napoli, sono di nuovo al lavoro gli agenti della Mobile del primo dirigente Luigi Rinella. Anche per loro il caso Arturo è un caso riaperto, al punto tale che sono stati ascoltati il parroco della chiesa in cui si doveva celebrare il torneo, ma anche l'istruttore e alcuni compagni di squadra. Non esistono registri ufficiali della partita alla quale fa riferimento nelle sue conversazioni il minore e per molti dei soggetti contattati dal Mattino in questi giorni la memoria si è rivelata debole. Nessuno ricorda in precisione se la partita venne disputata e quanti ragazzini scesero in campo. E anche sulla presenza di C.T., i ricordi restano abbastanza deboli.

Una inchiesta che attende ora il punto conclusivo, sotto il coordinamento del pm Ettore La Ragione, che in questi giorni ha portato a casa tre condanne in primo grado. Nove anni e tre mesi per «Kekko», il primo ad essere arrestato (unico a stare in comunità), ma anche per gli altri due imputati (in cella a Nisida), incastrati da intercettazioni e dalle accuse della vittima. Ma come si arriva al quarto baby aggressore? È uno dei tre condannati a tirare in ballo C.T., a fare il suo nome.
LE CONFESSIONI
Stando alla lettura degli atti, quel ragazzino era lì, in via Foria, avrebbe aggredito Arturo e avrebbe contribuito a ferirlo. Ed è anche questo un punto destinato a rimanere oscuro, alla luce di quanto è accaduto due giorni fa dinanzi al giudice Marina Ferrara. A porte chiuse, nuovo interrogatorio per gli imputati, a partire da F.P.C., il Kekko finito per primo nella trama delle indagini, nel tentativo di far emergere particolari che ancora oggi sfuggono alle indagini. Se due dei tre imputati ammettono di aver fatto parte del branco che ha aggredito Arturo, non è chiaro chi sia stato a sferrare le coltellate. Anche in questo caso tanti «non so» e «non ricordo», che hanno segnato la storia di un processo chiuso solo per tre quarti. Resta acceso un faro sul più giovane di tutti, quello che si difende ricordando la storia della «semifinale», alla luce di una perizia di parte sul telefonino, in una vicenda in cui manca - almeno per il momento - la voce dei compagni di squadra.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA