Affari con il cartello dei colombiani, l’altra vita del brigadiere Cioffi tra «soffiate» e blitz pilotati

Affari con il cartello dei colombiani, l’altra vita del brigadiere Cioffi tra «soffiate» e blitz pilotati
di Leandro Del Gaudio, Marco Di Caterino
Giovedì 19 Aprile 2018, 22:58 - Ultimo agg. 20 Aprile, 18:39
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Nel 2006 un encomio per il suo contributo in una retata per fatti di droga, dodici anni dopo il peggiore degli incubi per un carabiniere: gli arresti per droga e rivelazione di atti coperti, con l’aggravante di aver favorito quei clan che lui - almeno sulla carta - avrebbe dovuto combattere. E non è il solo. Lui - parliamo di Lazzaro Cioffi, classe 1962 -, da ieri in cella, è stato per anni il punto di forza dei reparti investigativi di Castello di Cisterna. Non è il solo a versare in cattive acque, non è l’unica divisa da ieri al centro di indagini del pool anticamorra. 

Nella serata di ieri sono stati convocati in Procura altri quattro carabinieri, su di loro ci sono verifiche in corso. Hanno lavorato per anni con Lazzaro Cioffi, facevano parte della stessa squadra: ora devono rispondere di una serie di punti poco chiari emersi da intercettazioni e attività investigative ancora in corso. Sono stati i vertici della Procura di Napoli a battere su un concetto: anche in questo caso, gli anticorpi hanno funzionato, anche in questo caso, le indagini hanno isolato possibili opacità. Intanto, però, su un intero gruppo di lavoro si abbattono le accuse che emergono dalle indagini del pm Mariella Di Mauro, alla luce del racconto di un pentito e di alcune intercettazioni telefoniche. Ma in cosa consistono le accuse mosse a carico di Cioffi? Sono diversi i capitoli al centro delle indagini. Si parte dalle presunte soffiate: avrebbe fornito informazioni top secret su perquisizioni e indagini in corso a carico di Pasquale Fucito (reggente del parco Verde di Caivano), su esiti di sequestri di armi effettuate dai suoi colleghi. In un’occasione - è la sintesi delle accuse - Cioffi avrebbe anche tentato di impedire il sequestro di 18mila euro, soldi che dovevano finire nelle tasche di Fucito per una partita di droga. Poi altre accuse, tutte poco gratificanti per chi indossa una divisa. 

In alcuni casi, avrebbe consigliato ad un determinato gruppo criminale di non noleggiare auto presso una determinata agenzia, dal momento che il titolare strizzava l’occhio alle forze dell’ordine, consentendo di installare le microspie. In altri casi ancora, inoltre, Cioffi avrebbe omesso annotazioni, sequestri e arresti obbligatori sempre per proteggere Fucito, tanto che pure l’illecita detenzione di una pistola P38 non sarebbe stata denunciata. Insomma, un rapporto deviato con Fucito, come per altro sarebbe emerso anche dalla compravendita di un ristorante nel Casertano: lo avrebbe acquistato a 60mila euro, per poi rivenderlo - allo stesso Fucito - per 120mila euro, in uno scenario scandito da regali ed elargizioni fatte sempre e comunque dal boss del parco Verde (mille euro alla moglie del brigadiere, nel giorno del suo compleanno). 

Imbarazzanti anche i rapporti familiari dello stesso Cioffi, secondo quanto emerso fino a questo momento, alla luce di una semplice verifica anagrafica: sposato con una donna ritenuta legata da rapporti di parentela a soggetti della camorra di Maddaloni, Cioffi ha un suocero che ha scontato 23 anni di cella per un omicidio (è stato scarcerato nel 2013). Non è finita: i due zii della moglie, quindi fratelli del suocero, sono stati accusati di aver consumato un omicidio per conto di Angelo Grillo, attualmente detenuto al carcere duro per un delitto che sarebbe stato consumato per conto del clan Belforte. Incroci e destini familiari che ora fanno i conti con le pesanti accuse che lo tengono in cella (mentre la moglie è finita agli arresti domiciliari), per aver favorito con soffiate e atteggiamenti morbidi quell’ala dura del narcotraffico che avrebbe dovuto estirpare. E c’è anche una intercettazione agli atti, quella che vede protagonista Emilia D’Albenzio, moglie di Cioffi, che parla con una sua conoscente: «Perché quello (Pasquale Fucito) gli deve dare dei soldi a lui (a Lazzaro Cioffi), e quindi io devo stare zitta». 

 

Parole che ora attendono la versione della difesa, nel corso dell’interrogatorio di garanzia dinanzi al gip. Chi lo conosce è pronto a giurare sulla sua determinazione nel respingere le accuse, nel rimarcare la propria onestà di agente di polizia giudiziaria. Stesso atteggiamento da parte degli altri quattro carabinieri finiti nelle maglie di questa indagine.

Si dicono estranei alle accuse, in un procedimento che è ancora alle battute iniziali. Indagini sul parco Verde, sulla potente consorteria che fa capo a Fucito, ma anche su una serie di anomalie emerse in questi anni: come i telefoni che diventano muti, i blitz a vuoto, il lavoro di tanti onesti militari dell’arma costretti a rincorrere la camorra e i suoi (possibili) protettori occulti. 

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