La regione di Jalisco, infatti, è nota per i sequestri di persona, rapimenti lampo, specie di stranieri, fatti da bande locali vicine ai narcotrafficanti per ottenere un riscatto. Ed è questa l'ipotesi cui inizialmente hanno pensato i familiari dei tre italiani. Una eventualità naufragata dopo che nessuno si è fatto vivo per diciassette giorni. A convincere la famiglia Russo di un coinvolgimento della polizia locale è un messaggio audio inoltrato tramite Whatsapp al fratello Daniele in cui Antonio Russo, messosi sulle tracce del padre dopo la sua scomparsa, raccontava di essere stato fermato dalla polizia locale durante un rifornimento di benzina e invitato a recarsi al commissariato.
Si innesta qui il giallo di una telefonata fatta alla Municipalità di Tecalitlan.
«In un primo momento - ricorda Daniele Russo, un altro figlio di Raffaele - ci dissero che Antonio e Vincenzo erano stati arrestati e che stavano andando alla polizia, mentre di Raffaele non sapevano nulla. Ma durante una seconda telefonata questa versione è stata negata dalle autorità messicane». «La nostra unica possibilità - conclude il portavoce della famiglia Russo - rimane quella di affidarci alla Farnesina e all'ambasciata italiana, con cui siamo in contatto. Bisogna insistere sulla pista che porta al commissariato di Tecalitlan dove, nel giorno della scomparsa, una operatrice ci assicurò al telefono che tre italiani erano sotto la loro custodia salvo poi smentire la cosa venti minuti dopo». In queste ore di angoscia il pensiero va anche a un altro componente della famiglia Russo, Francesco: «È un altro figlio di Raffaele che vive in Messico da tempo. In questi giorni così delicati - spiega Bergamè - ci ha chiesto di non contattarlo ma di attendere che sia lui a farsi vivo. Temiamo per la sua incolumità e che informandosi o contattando le persone sbagliate possa succedere qualcosa anche a lui».