Ischia un anno dopo il terremoto, la seconda vita di Ciro l'eroe: «Sto bene con i miei amici»

Ischia un anno dopo il terremoto, la seconda vita di Ciro l'eroe: «Sto bene con i miei amici»
di Massimo Zivelli
Martedì 21 Agosto 2018, 08:00 - Ultimo agg. 10:42
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ISCHIA - C'è qualcosa che è in grado di superare la paura che accompagna tutti i giorni chi è miracolosamente sopravvissuto al terremoto. E questo qualcosa è la speranza che i propri figli possano col tempo dimenticare. Era buio, un anno fa a Casamicciola, quando un brevissimo, violento scossone sbriciolò di colpo una casa, seppellendo i suoi piccoli abitanti. È la storia di Ciro, per tutti da quella tragica notte semplicemente l'eroe, e dei suoi fratellini Matias e Pasqualino. La piccola Dalila Grazia era ancora al sicuro, nel pancione di mamma Alessia, incinta di cinque mesi, che provvidenzialmente alcuni minuti prima era uscita a fare una passeggiata in cortile. Lei, mamma Alessia, disperata dopo aver assistito in diretta al crollo della casa con dentro tutta la sua famiglia. I suoi bambini e Alessandro Toscano, il suo compagno e padre degli ultimi due figli, finito anche lui sotto le macerie e deciso a suicidarsi, convinto che lì sotto tutti i suoi cari fossero stati sterminati.
 


A un anno dal terremoto che ha cambiato per sempre in peggio la loro vita e quella di altre centinaia di persone, stamattina Alessia, Alessandro, Ciro, Matias e, nonostante la febbre che li tiene a letto già da due giorni, anche i piccoli Pasquale e Dalila Grazia torneranno in piena zona rossa. «Andremo tutti a pregare sulle macerie della nostra casa. A pregare la Terra, perché mentre distruggeva tutto ci ha voluto regalare la vita dei nostri bambini», dice mamma Alessia. Ma non solo. «Pregheremo anche per la turista bresciana che era ospite presso amici al piano superiore dello stesso edificio e che purtroppo non ce l'ha fatta. La Madonna ha chiamato a sé la sua anima e noi pregheremo per lei, implorandola di vegliare come un angelo sui nostri figli». La Madonna raffigurata sul quadro attaccato all'unica parete rimasta in piedi della vecchia casa, e che la famiglia ha portato in quella nuova appendendolo con quello stesso chiodo. Stasera poi, alle 21.15, in mezzo a tanta altra gente, i «miracolati» del terremoto saranno in Piazza Marina a pregare e ascoltare l'omelia del vescovo Pietro Lagnese. «Un uomo di grande misericordia. Dobbiamo a lui - sottolinea Alessia - la concessione della canonica della chiesa di Fontana, dove siamo alloggiati dal settembre scorso».
 
In realtà oggi, anniversario del dramma, la famiglia avrebbe voluto essere altrove. «La paura è rimasta così inalterata in noi - spiegano Alessia e Alessandro - che più si avvicinava la data e più avremmo voluto scappare da quest'isola. Stare lontani almeno questa settimana che a noi ricorda i momenti più brutti della nostra esistenza. Poi ci abbiamo riflettuto e abbiamo capito che non è l'anniversario ad angosciarci, quanto piuttosto il fatto che il terremoto può tornare in un qualsiasi momento e non solo qui a Ischia». Un incubo che non si interrompe. «Da quella sera noi praticamente viviamo solo per in nostri figli. Dentro di noi si agitano come mostri imbattibili le immagini e le drammatiche sensazioni che abbiamo provato nel nostro animo e sulla nostra pelle. La speranza continua Alessia è che Ciro e Matias abbandonino presto i loro incubi. Pasqualino non ricorda niente di quella notte perché aveva pochi mesi di vita e Dalila Grazia la portavo ancora in grembo». I «mostri» che agitano le giornate e le notti di Alessia e Alessandro sono le nuove scosse di terremoto, come quella ultima dell'8 agosto. «Ma anche il tremolio della casa al passaggio di un camion in strada» dice Alessandro che confessa: «Ogni notte mi alzo sudato e in preda al terrore e corro nella cameretta dei bimbi per vedere se sono ancora li. Se dormono, almeno loro tranquillamente, oppure se hanno ancora gli incubi. Non torneremo mai alla normalità. Speriamo che loro ci riescano e presto». Il futuro? «Premesso che eravamo in fitto nella casa dove abitavamo e che ci è crollata addosso, una cosa è sicura. E che cioè mai più ritorneremo a vivere a Casamicciola. Non ce la potremmo mai fare. Anche la mia anziana madre ha preso in fitto una piccola dimora qui a Fontana. Mio padre invece non molla, nonostante l'età e il suo precario stato di salute. Non abbandona la sua casa e vuole continuare a lottare anche contro la paura», continua Alessandro. Il dibattito sulla ricostruzione non interessa a questa famiglia, che ormai guarda altrove per lasciarsi alle spalle ricordi e paure. «Comprendo bene l'angoscia e la rabbia di tanti altri sfollati come noi, costretti a sopravvivere in piccole stanze d'albergo oppure, per quelli diciamo così più fortunati, in case prese in affitto a caro prezzo».

«Da quando c'è stato il terremoto incalza Alessandro non solo i fitti sono aumentati in maniera spropositata, ma anche il prezzo delle case e dei terreni sui quali si crede di poter edificare. Questo non solo a Casamicciola, ma anche e direi soprattutto negli altri comuni dell'isola. Io sono una persona ignorante in queste cose, però da figlio di venditore ambulante, almeno i calcoli li sono fare bene. Quando parlano di delocalizzare la ricostruzione o parlano di spostare centinaia di persone in altre zone dell'isola, ci si rende conto del costo che questo comporterà, con un mercato che oramai vende a peso d'oro qualsiasi cosa e considerato che questa è l'isola d'Ischia?». D'altra parte dopo un anno le incertezze e i ritardi sono sotto gli occhi di tutti. «Lo so perché le vedo queste cose. Sono diversi gli sfollati che senza autorizzazione hanno fatto rientro nelle loro abitazioni ufficialmente ancora non agibili. Non è necessario raccogliere le testimonianze delle grandi autorità di turno che fanno passerella al Maio per capire che quella parte di Casamicciola è ridotta ad uno stato spettrale. In quel deserto ci sono fantasmi, persone che dopo essere state sfollate non ce l'hanno fatta più a resistere vivendo in piccole stanze o alloggi di fortuna, e perciò sfidando i divieti e la stessa paura del terremoto sono tornate ad occupare le loro case». Alessandro racconta pure di uno strano modo di cercare il ritorno alla normalità. Per evitare ulteriori crolli, chi è tornato lì sta facendo lavori di manutenzione. E siccome non è possibile superare i controlli al perimetro della zona rossa introducendo materiali, si usa la terra degli orti da mischiare al cemento per fare, senza dare nell'occhio, quel minimo di lavori che occorrono per garantire più che la sicurezza, almeno il decoro. «Tanto la gente che vive questo dramma ha capito che lo Stato e la burocrazia impiegheranno molti anni prima di affrontare il recupero urbano e la ricostruzione».

Quattro ore sepolto sotto le macerie, prima di essere estratto dai soccorritori. Non molto, in termini di attesa rispetto ai tempi che sono occorsi per tirar fuori anche Pasqualino, Matias e per ultimo anche Ciro. Ma è un tempo che per papà Alessandro si è decuplicato. Perché c'era la rabbia e c'era l'angoscia. «Stavo là sotto, bloccato e potevo muovere solo le braccia. Ero furioso perché qualche metro più in la i piccoli avevano bisogno di me e non potevo aiutarli. Per due ore ho combattuto come un animale ferito nel tentativo di uscire da quella tomba di calcinacci e pilastri crollati. Poi rivela per la prima volta avendo più volte provato a chiamarli per nome e non avendo avuto alcuna risposta, ho realizzato nella mia mente che fossero morti tutti». A quel punto Alessandro racconta di aver perso letteralmente la testa e di aver pensato di morire con loro. «Ai soccorritori, con la scusa di dovermi liberare da alcuni cavi, ho chiesto di passarmi un coltello. Mi sarei ammazzato con quello, tagliandomi i polsi e la gola. Per fortuna, dico col senno di poi, era con i vigli del fuoco anche un mio amico carabiniere, che ha vietato ai pompieri di passarmi una cesoia».

Il tempo di voltarsi verso l'uscio di casa dopo aver avvertito un grande boato e Alessia ha visto la casa a due piani accartocciarsi su se stessa. Pochi secondi di choc e poi la donna incinta è corsa verso un vicino albergo per chiedere aiuto. «Erano tutti in fuga. C'era il caos totale ed io imploravo che qualcuno mi aiutasse perché sotto la casa crollata c'era tutta la mia famiglia. Di quei momenti ricordo solamente che una coppia di giovani carabinieri in vacanza a Casamicciola mi si è avvicinata e mi ha prestato assistenza, impedendomi di avvicinarmi al crollo, nonostante mi dimenassi come una forsennata. Mi hanno trattenuta fino all'arrivo delle squadre di soccorso».

E poi c'è Ciro, il piccolo grande uomo, l'eroe che a 11 anni ha contribuito in modo decisivo al salvataggio dei fratellini Matias e Pasqualino.
Ciro è il più taciturno di tutti. In un anno è diventato più alto, ma resta compassato, silenzioso. E del resto è comprensibilmente difficile reggere il ruolo che gli è stato assegnato dalla vita e dalle circostanze. Un carico di responsabilità che va ben oltre le sue possibilità di dodicennne. A un anno da quella terribile notte, in cui riuscì un centimetro alla volta a portare i fratellini (Matias aveva sette anni, Pasqualino neanche otto mesi) sotto il letto che gli aveva fatto da scudo, Ciro non è cambiato. Non lo hanno cambiato attestati e medaglie ricevuti, non lo ha cambiato neppure l'onore di essere decorato assieme a Matias dal Presidente della Repubblica, in quella bella giornata trascorsa al Quirinale. «Potevo iscrivermi alle medie qui a Serrara Fontana. Invece ho preferito spostarmi praticamente ogni giorno dall'altra parte dell'isola, per continuare a stare con i miei amici e compagni delle medie di Forio», dice laconico, come a voler sottolineare una sete di continuità. E anche adesso in estate, al mare, il lido per tutta la famiglia è quello della Chiaia a Forio. «È bello stare lì dove siamo sempre andati a fare il bagno, perché ci sono tanti amici e con loro posso giocare al calcio sulla sabbia». Libri e pallone. Ciro è studioso e si capisce che vuole imparare tante cose per mettere al sicuro il suo avvenire. Ma la sua passione resta il calcio. La partitella con gli amici dunque, ma anche il Napoli. «Che peccato, non abbiamo potuto vedere la prima di campionato» dice mentre gioca col berrettino che gli ha donato il club partenopeo.

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