La babygang del Vomero tra aggressioni e roghi dolosi: «Siamo noi i padroni»

La babygang del Vomero tra aggressioni e roghi dolosi: «Siamo noi i padroni»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 26 Marzo 2018, 09:22 - Ultimo agg. 20 Settembre, 13:23
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Ha il dito medio in bella mostra, segnale di provocazione e di sfida, per chiunque acceda sul suo profilo facebook. In un altro scatto, c’è poi il bacio camorristico: labbra e labbra - un bacio a stampo - come fanno i boss delle fiction, come fanno quelli che si salutano dietro le gabbie di un’aula di giustizia. E non è finita: sempre a sfogliare il suo profilo, giganteggia la scritta a lettere cubitali «VOMERO» sullo sfondo di una panoramica dell’area collinare. Eccolo il profilo di uno dei quattro minorenni arrestati due giorni fa per il tentato omicidio di un 15enne, avvenuto lo scorso 9 dicembre in via Scarlatti. 
 


È uno dei leader dell’ultima babygang finita al centro delle cronache cittadine, su cui sono al lavoro i pm della Procura minorile (anche se in questa vicenda ci sono anche due maggiorenni coinvolti, uno dei quali denunciato, l’altro raggiunto da un fermo di pm). Un gruppo pericoloso - secondo il gip che ha firmato le misure cautelari -, che deve rispondere di almeno tre episodi di chiaro stampo criminale. 

Oltre al ferimento del 15enne di Scampia, agli atti spiccano anche altri due episodi: il ferimento di un altro minore, sempre con la stessa logica («via dal Vomero, tornate a Piscinola e Scampia, il quartiere è nostro»); e un incendio doloso, all’interno di un parco del quartiere collinare.  
Tre episodi collegati dalla stessa logica criminale, tanto da spingere il gip del Tribunale dei minori a rincarare la dose e a ipotizzare l’accusa di associazione per delinquere: «Il gruppo - è la sintesi del magistrato - punta a consolidare il proprio predominio territoriale, con un’azione finalizzata a rafforzare il clan Vomero-Arenella». Indagine condotta dal commissariato di polizia locale, sotto il comando del vicequestore Monica Nasti, decisive sia le indagini tecniche, sia la testimonianza di alcune parti offese, vale a dire gli appartenenti al gruppetto di ragazzini che quel pomeriggio dello scorso 9 dicembre era arrivato dalla periferia nord per una passeggiata in via Scarlatti. Ed è così che agli atti della misura cautelare, finiscono anche le chat tra alcuni componenti del «branco», che hanno scandito di volta in volta i tre episodi sotto i riflettori. Parole di esaltazione, gesti di sfida o di vittoria. È la notte del 17 gennaio, notte delle montagne di legno in fiamme, un rito che intossica mezza Napoli, al quale non si sottrae la banda del Vomero. Ed è proprio in uno dei profili facebook attenzionati dalle forze dell’ordine, che si comprende la ragione di tanta partecipazione: quella notte le fiamme arrivano fino al secondo piano di un condominio privato, costringendo gli inquilini a rivolgersi ai vigili del fuoco. Provvidenziale la pioggia battente di quella notte, che limitò i danni, smorzando anche la foga distruttiva della banda di ragazzini. 

Immancabili i commenti del giorno dopo, da parte di capi e capetti di un branco di minori a loro volta collegati con la peggiore storia criminale cittadina. Non è un segreto infatti che quelli dell’ultima babygang finita in cella hanno legami con famiglie e storie criminali neanche tanto lontane. A finire in comunità, sabato mattina, ci sono i discendenti di famiglie che in passato sono state collegate a delicate indagini anticamorra, quelle sul clan Alfano e Cimmino e su altri soggetti coinvolti per fatti di estorsione e armi. Uno scenario che ha spinto il gip a non avere esitazioni nell’accogliere la richiesta di arresto a carico del gruppo entrato in azione lo scorso nove dicembre. Fermo di pm per il 21enne Vincenzo Rossi (difeso dall’avvocato Gianluca Fiore), denunciato a piede libero un altro maggiorenne, mentre i quattro minori sono stati tradotti in varie comunità di recupero. Difesi, tra gli altri, dai penalisti Giovanna Limpido e da Dario Maisto, i quattro presunti aggressori ora puntano a dimostrare la propria estraneità rispetto alle accuse. Hanno di fronte un percorso investigativo costruito su un doppio binario: da un lato, le accuse delle parti offese; dall’altro le chat on line, affidate alle messaggerie di facebook, che rappresentano una sorta di conferma dei tre episodi finiti al centro delle indagini. 

Partiamo dal primo livello, quello delle testimonianze dirette messe nero su bianco: l’accoltellatore viene riconosciuto da tre dei cinque componenti del gruppo di Piscinola bloccato al varco di via Scarlatti lo scorso dicembre. Poche domande, le sue, ragionamento a senso unico: «Di dove siete? Da dove venite? Qua non ci potete stare. Il Vomero è nostro», avrebbero detto prima di scatenare l’aggressione culminata con una coltellata al torace di un 15enne. Per gli inquirenti non ci sono dubbi, gli aggressori hanno un volto e una storia personale, un passato e ramificazioni familiari che riconducono ai clan dell’area collinare. Un’ipotesi che sembra poi confortata da quei ragionamenti affidati a facebook: «Abbiamo fatto bene», si confortano a vicenda tra il primo e il terzo episodio al vaglio della magistratura minorile. 

Ora la parola passa a loro, ai presunti responsabili che si riconoscono sotto la scritta «VOMERO», martedì attesi dinanzi al giudice per le indagini preliminari Ferrara. Possono replicare alle accuse, dimostrare la propria estraneità rispetto agli elementi raccolti dalla polizia in questi mesi.

Oltre al ferimento del 15enne di Scampia, c’è un altro episodio che ha spinto il gip ad accogliere la richiesta di arresti a carico dei quattro: un calcio all’altezza del ginocchio di un altro ragazzino, riuscito poi a guadagnare una via di fuga.
E non è finita. Sempre secondo quanto emerge dalla trama di rapporti dei minori arrestati sabato, ci sono altri nomi al vaglio degli inquirenti, altri potenziali esponenti di una banda sulla quale il gip dei Colli Aminei non ha avuto alcun dubbio: non si tratta di un gruppo nato in modo estemporaneo, ma di una associazione per delinquere finalizzata ad affermare il proprio dominio all’ombra di quella scritta a lettere cubitali che campeggia sui loro profili facebook. 

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