Bagnoli, bonifica flop: «Aumentati
i rischi per la salute pubblica»

Bagnoli, bonifica flop: «Aumentati i rischi per la salute pubblica»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 18 Luglio 2018, 09:20
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Il maggiore grado di inquinamento riscontrato? Proprio in quelle zone dove erano state realizzate le attività di bonifica, proprio su quei punti in cui era legittimo aspettarsi una condizione migliore. Uno scenario tanto grave da tenere in piedi «il concreto pericolo per la salute pubblica» anche e soprattutto per «i frequentatori e utilizzatori futuri» di quell’area. 

Sono i punti chiave delle motivazioni delle condanne di sei - tra manager e tecnici - coinvolti nell’inchiesta su Bagnolifutura e sulla riqualificazione dell’ex acciaieria di Napoli ovest. In oltre 400 pagine, i giudici della sesta penale (presidente Sergio Aliperti, a latere Diani e Stanzione), spiegano i motivi delle condanne firmate al termine di un processo lungo tre anni. Passano le accuse del pm Stefania Buda (oggi in forza alla procura generale), c’è la conferma - agli occhi dei giudici di primo grado - dei reati di falso, disastro ambientale e finanche di truffa, proprio negli anni in cui Bagnolifutura gestiva milioni di euro per restituire ai napoletani parchi verdi, lotti di case abitabili, costa marittima pulita. Ma andiamo con ordine. Decisiva nella ricostruzione fatta dai giudici, la perizia firmata da Claudio Galli per conto del Tribunale di Napoli, che conferma gli accertamenti dei periti del pm. È in quest’ottica che vanno calate le condanne per l’ex direttore generale del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini (2 anni e 6 mesi); per l’ex vicesindaco e presidente di Bagnolifutura Sabatino Santangelo (tre anni); per l’ex direttore tecnico di Bagnolifutura Gianfranco Caligiuri (4 anni); per l’ex dirigente Arpac Alfonso De Nardo (tre anni); per l’ex direttore generale di Bagnolifutura Mario Hubler (2 anni); per l’ex dirigente comunale di Napoli Giuseppe Pulli (2 anni). 

 

I RISCHI
Chiaro il ragionamento dei giudici: pur di non risultare inadeguati all’opera di bonifica, pur di non ammainare bandiera bianca, i vertici della società comunale hanno portato avanti interventi che non hanno migliorato lo stato dei luoghi. Anzi. In alcuni punti, proprio lì dove è avvenuta la bonifica, c’è stato un tale rimescolamento da rendere critica la situazione anche in uno scenario futuro. Mettendo a rischio - scrivono i giudici - anche per gli anni futuri la salute pubblica. «In definitiva il maggior inquinamento era stato riscontrato nelle aree del Parco Urbano Lotto 1 tutte provviste di certificazione di avvenuta bonifica ove gli interventi di bonifica e messa in sicurezza non risultano eseguiti secondo la normativa vigente e secondo quanto previsto nelle varianti approvate. Può affermarsi pertanto che l’intera zona in questione non solo è gravemente inquinata ma vi è anche un’obiettiva diffusività delle sostanze pericolose con una compromissione rilevante e difficilmente reversibile delle matrici costituenti un presupposto della salubrità ambientali, in modo da determinare un rischio per i frequentatori ed utilizzatori futuri delle suddette aree ad un concreto pericolo per la salute pubblica». 

Ed è bastato fare un raffronto tra zone diverse per mettere a fuoco l’operato della società Bagnolifutura: «L’aggravamento delle condizioni del suolo è stato riscontrato proprio nel terreno che è stato utilizzato per la messa in sicurezza e l’unica area che presenta condizioni meno allarmanti è il Parco dello Sport in cui non è stato utilizzato materiale proveniente dagli impianti ma dal canale pedemontano». 

Ma non ci sono solo valutazioni tecniche sullo stato dei luoghi alla base delle sei condanne firmate mesi fa dalla sesta penale. I giudici puntano l’indice contro le scelte manageriali che hanno spinto la Bagnolifutura a derubricare gli obiettivi di bonifica nel corso di una gestione durata oltre dieci anni. 

INADEGUATI
Ma cosa avrebbe spinto i vertici della società comunale a ratificare una bonifica virtuale? «L’inadeguatezza». La propria incapacità di realizzare un compito che, in quegli anni, succhiava milioni di euro e teneva in piedi un’intera impalcatura politico-amministrativa. È il capitolo truffa. «Evidente che il rischio concreto era per la committente Bagnolifutura non solo quello di perdere i finanziamenti previsti, ma anche quello di essere ritenuta inadeguata allo scopo alla luce dell’originario programma, che per come elaborato non era più perseguibile e dunque di fallire rispetto all’obiettivo principale di bonificare il sito di interessa nazionale di Bagnoli». In quest’ottica, il Tribunale affronta anche il capitolo dei costi che vanno ritenuti «aumentati» di fronte alla mancanza di una cava in cui sversare il materiale di risulta, anche se non c’è prova che siano stati volutamente gonfiati.
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