Napoli, Arturo accoltellato in strada: il 15enne nega ma il giubbino rosso lo inchioda

Napoli, Arturo accoltellato in strada: il 15enne nega ma il giubbino rosso lo inchioda
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 27 Dicembre 2017, 22:54 - Ultimo agg. 28 Dicembre, 09:58
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Lo hanno trovato senza giubbotto, nonostante in quelle ore a Napoli ci fosse una temperatura vicina allo zero. Indossava una felpa, senza quel giubbino rosso che invece è stato immortalato dalle telecamere di un negozio di via Foria, mentre camminava spavaldo assieme al proprio gruppetto di amici. Eccolo uno degli indizi emersi dalle indagini a carico del 15enne ritenuto responsabile del ferimento di Arturo, alla luce di quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare confermata ieri dal Gip del Tribunale dei minori. Circa due ore di interrogatorio, nel corso del quale il ragazzino ha negato di essere responsabile del ferimento di Arturo. Anzi. Ha assunto una posizione ferma, il giovane indagato.

Non ha ceduto di un passo, né ha chiesto di pensarci su. Ha avuto un solo momento di esitazione quando, al termine dell’interrogatorio, gli hanno detto esplicitamente che sarebbe finito in cella. Ha perso un po’ di spavalderia e la sua voce è diventata rauca dalla commozione. Un accenno di panico, un pianto trattenuto a stento, dopo aver fortemente negato la propria responsabilità in questa storia.
Versione difensiva che ha ripetuto dal giorno della vigilia di Natale, quando è finito in manette per l’aggressione di Arturo, per il ferimento di un ragazzo di soli 17 anni, lo studente brutalmente colpito da venti coltellate mentre provava a difendere il proprio cellulare. Ma il racconto del 15enne non ha commosso nè ha convinto il gip del Tribunale dei minori, che di fronte alle prove raccolte dalla mobile non ha fatto altro che trarre le conseguenze: da ieri mattina F.C. il ragazzino di quindici anni immortalato da alcuni video ricavati dalla polizia, è stato trasferito in carcere, in un istituto minorile, dove dovrà attendere gli esiti della vicenda che lo vede coinvolto. 
 

È accusato di tentato omicidio, anche se sul suo conto, la polizia ha sempre avuto le idee chiare: il 15enne non avrebbe sferrato coltellate, ma avrebbe tratto in inganno Arturo, svolgendo quello che in gergo criminale viene chiamato ruolo di «gancio». Avrebbe attirato in una trappola il 17enne, bloccandolo all’altezza della caserma Garibaldi, chiedendogli che ora fosse. 
Avrebbe interrotto il cammino di Arturo con una frase di convenienza: «Come stai messo? Dove devi andare? Vieni un poco qui con noi...».
Ed è a questo punto che il Gip ricostruisce la scena dell’aggressione alla luce del racconto fatto dallo stesso Arturo: uno dei quattro malviventi assale alle spalle il 17enne, un altro impugna un coltello e aggredisce a colpi di fendenti lo studente, mentre altri due del branco hanno assunto una posizione più defilata, controllando che nessun adulto si intromettesse e che nessuno potesse aiutare il malcapitato. 

Scrive il gip Avallone: «Si è trattato di una azione intenzionalmente rivolta ad uccidere», non semplicemente a intimidire o ferire.
Schiaffi, calci, pugni, quelle maledette coltellate che hanno rischiato di uccidere quel ragazzino. Colpi al polmone, anche all’altezza della giugulare, violenza gratuita, abnorme rispetto alla timida reazione del diciassettenne. 
Ma cos’altro tiene in cella ora F.C.? Cosa ha spinto il Gip a confermare il carcere al termine dell’interrogatorio di garanzia? Come è noto, agli atti ci sono due testimonianze raccolte in questi giorni dalla Procura dei minori di Napoli: quella di un minorenne, un ragazzino vittima di un iniziale tentativo di rapina, che era riuscito ad eludere la morsa degli aggressori e a farla franca; e quella dello stesso Arturo, che dal lettino dell’ospedale San Giovanni Bosco, ha riconosciuto in fotografia il volto e la sagoma di quel quindicenne neanche tanto cresciuto che oggi è finito agli arresti in carcere. Due individuazioni dirette da parte di due vittime di aggressioni sono elementi troppo forti per spingere un giudice a rivedere l’impianto iniziale e a revocare la misura cautelare. Difeso dal penalista Emireno Valteroni, il quindicenne ora si affida a indagini difensive, non senza suggerire a pm e gip una possibile traiettoria investigativa.

Come è noto, il ragazzino sostiene di essere estraneo all’aggressione. Studente al secondo anno dell’istituto superiore Casanova, il ragazzino indagato dice che nell’ora in cui si è consumata l’aggressione era in casa, in compagnia di mamma e altri parenti. Dice di essersi recato in palestra solo più tardi, intorno alle 18, al punto da cedere di sua spontanea volontà la password di facebook e la sim del telefonino, pur di dimostrare di non essere nel gruppetto degli aggressori. Versioni a confronto che entrano poi nel tecnico, quando si tratta di analizzare le immagini raccolte da un paio di negozi dalla mobile del primo dirigente Luigi Rinella.
Guardando quelle immagini, il 15enne ha sostenuto di non riconoscersi: «Non sono io quello che voi indicate come palo, come gancio di questa storia». Fatto sta che sarà un consulente di parte ora ad analizzare i frame e a parametrare il contenuto delle immagini con le caratteristiche antropometriche del ragazzino, per stabilire se la sagoma di uno dei tre soggetti con il cappellino e il bavero della felpa alzato sia o meno compatibile con la fisicità reale di F.C.

Ma non è tutto. Un altro tipo di battaglia difensiva viene elaborata in queste ore per quanto riguarda la doppia testimonianza che al momento inchioda il 15enne. In genere si tratta di una prova blindata, anche se proprio dalla lettura degli atti a sostegno della misura cautelare si capisce che in almeno un’altra occasione il riconoscimento diretto da parte di un testimone non è andato a buon fine.
O meglio: in questa storia, un testimone ha puntato l’indice contro un presunto complice di F.C., che è stato fermato e scagionato nel giro di qualche ora. È accaduto sabato pomeriggio, subito dopo gli arresti del 15enne, quando gli uomini della Mobile hanno bloccato per qualche ora un altro presunto esponente del branco che è entrato in azione in via Foria. Riconosciuto senza dubbi da una delle due vittime, il ragazzino ha avuto però la possibilità di affidarsi a un alibi di ferro, grazie al quale è stato scarcerato in tempo reale: ha mandato a chiamare il suo datore di lavoro, lui che fa l’aiutante artigiano, in un negozio di presepi in zona Decumani, che lo ha scagionato senza tentennamenti. Ha spiegato l’artigiano, ripensando allo scorso lunedì 18 dicembre: «Non posso avere lacune, questo ragazzo alle cinque era sicuramente nel mio negozio, prima di Natale c’era tanto lavoro da rendere impossibile un allontanamento».

Intanto, le indagini della Mobile puntano a ricostruire nomi e influenze della rete di amicizie di F.C, per capire se ci possono essere altri ragazzi riconducibili alle immagini visionate in questi giorni.
Verifiche e accertamenti a stretto giro, che puntano a chiudere il cerchio attorno al gruppetto di via Foria, salvo ovviamente nuovi colpi di scena, tra riconoscimenti diretti e alibi a prova di bomba, tra filmati e testimonianze choc, in uno scenario che viene bollato così dal Gip dei Colli Aminei: «C’è stata - in questa storia - l’assenza di qualsiasi valore etico socialmente condivisibile». 

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