La svolta della nuova Fiat:
meno Italia, più lusso

La svolta della nuova Fiat: meno Italia, più lusso
di Nando Santonastaso
Giovedì 8 Marzo 2018, 10:40
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La preoccupazione dell'indotto è forte anche se non traspare pubblicamente: «Sono due anni ormai che non abbiamo nuovi prodotti e intanto il mercato comincia a perdere colpi com'è accaduto a febbraio. Non so che idea abbia il grande capo ma penso che sia giunto il momento di manifestarla», dice con l'abituale franchezza Pino Giorgio, gruppo Proma, uno dei leader italiani della componentistica auto.

È un sentiment piuttosto diffuso, e non solo nel nostro Paese, quello che emerge dalle parole dell'imprenditore di origini calabresi ma casertano di adozione a proposito del futuro del gruppo Fca. Da Ginevra l'ad Sergio Marchionne si è limitato a confermare che a giugno ci sarà la presentazione del nuovo piano industriale quadriennale e al tempo stesso la sua uscita dal gruppo. Ma su tempi e sul successore non trapelano altro che indiscrezioni e ipotesi con l'unica certezza - anche questa per la verità piuttosto singolare che non sarà comunque Marchionne a gestire il nuovo percorso da lui ideato e programmato. Sia che lascerà il comando nel 2019, sia che anticiperà la decisione alla prossima estate, sarà un altro a guidare Fca in anni che si annunciano comunque pieni di incognite per il comparto e per l'economia mondiale. L'ad ha legato la sua uscita al raggiungimento di un obiettivo finanziario molto chiaro e impegnativo: risanare del tutto il debito del gruppo (che ammontava nel 2017 a 2,5 miliardi di euro) e arrivare ad un attivo di 4-5 miliardi. Non sarà facile ma intanto proprio dai mercati borsistici giungono notizie confortanti: un'azione Fca, sia a New York sia a Milano, oggi vale 17 euro dopo avere toccato anche i 20 euro, a riprova della fiducia degli investitori. Quanto al successore, circolano con insistenza soprattutto due nomi: quello, scontato, di Alfredo Altavilla, tarantino, attuale Chief operating officer per l'Europa (oltre che per Africa e Middle east) e quello di Pietro Gorlier, torinese, capo della componentistica. Se uno dei due o un terzo sedesse al fianco di Marchionne quando presenterà il nuovo opiano industriale avremmo la certezza non solo della successione a breve o medi termine ma anche e soprattutto della condivisione completa del percorso dei prossimi anni, dicono i bene informati dell'automotive.
 
Dunque, il nuovo piano per capire dove andrà e soprattutto cosa sarà il gruppo automobilistico. Qualche indicazione c'è già al di là della totale riservatezza dietro la quale tutti (ma proprio tutti) i manager Fca si trincerano. Se è vero, come dicono anche importanti segmenti internazionali della componentistica, che tutto è fermo e che oltre all'annuncio dell'addio al diesel entro il 2022 per ora non c'è altro; se è vero che anche la mancata quotazione della Magneti Marelli che sembrava dietro l'angolo è stata fermata, non si sa bene se definitivamente o meno; è altrettanto vero che certi pilastri della strategia di Marchionne sono ormai consolidati. Lui stesso a Ginevra ha ribadito il primato di Jeep sul marchio Fiat e lasciato intendere che in Europa d'ora in avanti si darà più spazio ad altri marchi, Alfa, Maserati e soprattutto Ferrari in testa. Cosa vuol dire concretamente? Intanto che la scelta di puntare sempre più sul valore aggiunto del prodotto made in Italy sui mercati esteri, dagli Usa alla Cina, alla Corea, sta pagando: non è un caso che il sito tedesco ForumBmw, la più grande concorrente europea di Fca, abbia proclamato la Giulia Quadrifoglio, una vettura da 80mila euro, auto dell'anno per il 2018. Allo stesso tempo è senza ritorno la filosofia di puntare anche in futuro sulla tipologia premium che vuol dire due cose, essenzialmente: la fine della identificazione per così dire geografica delle aree di produzione e soprattutto il consolidamento del rapporto di fiducia tra i consumatori e i marchi. La 500X o la Panda sono ormai riconoscibilissime come valore aggiunto della qualità manifatturiera targata Italia, si osserva.

Già, ma intanto qualche numero tutt'altro che trascurabile, come quello dei volumi produttivi del 2017, fa riflettere. A Torino su un obiettivo di 70mila Maserati fissato nel 2014 se ne sono realizzate 40-50mila. Per l'Alfa il traguardo delle 400mila unità non è stato nemmeno sfiorato (attualmente la produzione è di circa 150mila). Il rallentamento, imposto a quanto pare da una rigorosa politica dei costi per ridurre l'indebitamento, è evidente anche se sul opiano occupazionale l'intera galassia Fiat (una rete di 46 stabilimenti e di 85mila dipendenti, compresi quelli di Cnh, la società delle macchine agricole) registra dati positivi. A Cassino, dove si producono le nuove Alfa, sono stati recuperati al lavoro 4mila addetti prima in cassa integrazione ed altri 300 sono stati assunti ex novo. E sul piano dell'export i numeri sono enormi: 10mila auto al mese arrivano sui mercati d'oltre Oceano con un valore solo negli Usa di 4-5 miliardi di euro annui.

Tutto ciò non risponde però ad almeno due importanti punti interrogativi, entrambi concernenti la Campania. Il primo riguarda Pomigliano: il silenzio che continua a circondare la nuova, indispensabile (e più volte promessa) missione produttiva, in aggiunta a quella della Panda destinata a tornare in Polonia (o in Serbia), non lascia tranquilli gli oltre 4mila operai. Se Alfa sarà, come sembra probabile, non si conosce il modello anche se la piattaforma produttiva è già annunciata (deriva da quella della Panda con un ulteriore aggiornamento tecnologico di grande qualità). L'altro punto di domanda si riferisce a Pratola Serra, in Irpinia dove si producono i motori diesel di cilindrata 1600 e 2000 ed è forse il caso più delicato: nel senso che a differenza degli altri stabilimenti, la tipologia del prodotto non sembra avere futuro se si considera che la spesa per ridurre l'impatto inquinante rischia di essere poco conveniente.

Due nodi, altrettanti dubbi, nessuna risposta. In compenso un fiume di rumors sull'eventuale partner internazionale del gruppo. La pista General Motors resta la più accreditata mentre perde credibilità quella di Peugeot e di una ipotizzata cessione di marchi (la casa francese ha appena acquistato Opel e per rilanciare la produzione in Spagna ha concordato con gli operai un taglio non trascurabile degli stipendi). Dunque, se il futuro sarà all'insegna dell'auto ibrida e automatica, non è chiaro il ruolo che spetterà all'Italia e indirettamente la Campania (forti rispettivamente di oltre un milione di auto prodotte nel 2017, di cui 200mila solo a Pomigliano): e questa, inutile aggiungerlo, è forse la domanda più spinosa alla quale Marchionne dovrebbe rispondere. Quando, ovviamente, vorrà.
 
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