Da Capodimonte la «vera perfezione» della Cassetta Farnese in mostra alle Gallerie d'Italia a Milano

Da Capodimonte la «vera perfezione» della Cassetta Farnese in mostra alle Gallerie d'Italia a Milano
di Donatella Trotta
Lunedì 24 Settembre 2018, 19:40
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Un “ospite illustre” sarà protagonista, a conclusione della Fashion Week milanese, delle Gallerie d’Italia-Piazza Scala, sede museale e culturale di Intesa Sanpaolo, suggellando con una mostra-dossier patrocinata dal Comune di Milano, dal titolo «True Perfection-La Cassetta Farnese di Capodimonte», un progetto culturale di scambi e promozione dell’arte e della cultura nel nostro Paese (e non solo), che rende l’Italia più unita nel segno (diacronico e sincronico) dell’eleganza. Da Nord a Sud.

E l’”ospite” illustre è proprio la Cassetta Farnese, capolavoro artistico proveniente dalla Wunderkammer di Capodimonte - un preziosissimo scrigno d’argento dorato, riccamente ornato di cesellature e piccoli bassorilievi con lapislazzuli e cristalli di rocca incisi, realizzato tra il 1543 e il 1561 dall’argentiere fiorentino Manno di Bastiano Sbarri, allievo di Benvenuto Cellini – che dal 25 settembre fino al 28 ottobre sarà esposta al pubblico nel caveau dopo un delicato intervento di restauro presso il laboratorio del museo, dove, per la prima volta, è stata smontata nei suoi singoli pezzi offrendo in tal modo una occasione unica di studio e di approfondimento.

Non solo. Ad affiancare, in mostra, il capolavoro di oreficeria manieristica, anche un intenso ritratto del committente dell’opera, il “gran cardinale”, fine collezionista e mecenate Alessandro Farnese dipinto nientemeno che da Tiziano (e ugualmente proveniente dal Museo di Capodimonte), accanto agli scatti fotografici di un maestro dell’arte della fotografia, Giovanni Gastel - considerato un “profeta del bello” e non solo nel campo della moda - che ha documentato per il raffinato contesto storico-artistico e culturale dell’esposizione i dettagli dello splendore della Cassetta Farnese, oggetto dall’avvincente e complessa storia, che così Sylvain Bellenger, Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, sintetizza: «La Cassetta Farnese è considerata uno dei maggiori capolavori dell’oreficeria manieristica del Cinquecento, simbolo indiscusso di eleganza, lusso raffinato, creatività artistica e artigianato d’eccellenza insieme alla celeberrima Saliera di Benvenuto Cellini, conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un vero caposaldo della nostra collezione Farnese che, in via eccezionale, prestiamo per questa mostra a testimonianza del primato italiano nelle arti e nella moda che continua ad imporsi sui mercati mondiali senza rivali nel corso dei secoli, ieri come oggi».

Gli fa eco Michele Coppola, Direttore Centrale Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, che sottolinea: «L’incredibile bellezza della Cassetta Farnese colpisce e ci ricorda come l’estro e la creatività contemporanea abbiano origine nella storia e nella grande arte italiana. Presentarla nel caveau di Piazza Scala appositamente aperto restituisce pienamente la passione e la convinzione con cui la nostra Banca è impegnata a promuovere cultura e a valorizzare il patrimonio artistico nazionale. L’eleganza e la perfezione dell’opera sono messe ancor più in risalto dalla vicinanza del dipinto di Tiziano: due eccezionali prestiti che confermano il rapporto di amicizia e collaborazione tra l’importante Museo di Capodimonte e le Gallerie d’Italia». Ovvero, i tre musei di Intesa Sanpaolo a Milano, Napoli (a palazzo Zevallos di Stigliano) e Vicenza, che non a caso espongono una selezione delle oltre 30mila opere appartenenti al Gruppo, dall’archeologia al contemporaneo: il Martirio di sant’Orsola, capolavoro di Caravaggio, insieme a opere di ambito meridionale tra Seicento e inizi Novecento alle Gallerie di Napoli; a Vicenza, le ceramiche attiche e magnogreche, la pittura veneta del Settecento e le icone russe; a Milano, le collezioni dell’Ottocento e del secondo Novecento italiano.

Ma veniamo alla storia della Cassetta Farnese, realizzata dallo Sbarri (allievo, come si diceva, del maestro Benvenuto Cellini) con una serie di collaboratori attivi a Roma nel quinto decennio del Cinquecento, su commissione del cardinale Alessandro Farnese: l’altissimo livello qualitativo dell’opera è, tra l’altro, testimoniato dal fatto che per i disegni di alcune scene, tradotte in cristallo di rocca da Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, fu chiamato Perin del Vaga, che negli stessi anni guidava l’équipe di decoratori attiva in Castel Sant’Angelo, uno dei più importanti cantieri romani del XVI secolo. Tra le tante ipotesi sostenute in passato sulla funzione della Cassetta, si è a lungo pensato che servisse a custodire altri celebri e preziosi oggetti appartenuti alla casata. Ma sembra ormai certo, secondo gli studiosi, che essa non ebbe una funzione precisa in quanto fu utilizzata come sontuoso dono del cardinale Farnese a Maria d’Aviz di Portogallo, che nel 1565 andò in sposa ad Alessandro Farnese, futuro duca di Parma e Piacenza, nipote nonché omonimo del prelato ritratto da Tiziano.

Figura di spicco della Roma cinquecentesca, elevato alla dignità cardinalizia ad appena 14 anni dal nonno con il vagheggiamento del soglio pontificio, poi mai conseguito, Alessandro Farnese – nato il 7 ottobre del 1520 negli antichi possedimenti viterbesi della famiglia, morto il 4 marzo 1589 – era nipote del pontefice Paolo III e figlio primogenito di Pierluigi, I duca di Parma e Piacenza. Protagonista della vita ecclesiastico-religiosa, politica e culturale del tempo, intrecciò l’interesse della Chiesa a quello personale e familiare e divenne noto tra i suoi contemporanei come grande collezionista e mecenate dotato anche di notevoli capacità diplomatiche che contribuirono a consolidare il potere politico ed economico della famiglia. Giusto dunque che in mostra a Milano il suo ritratto compaia di fronte alla teca della Cassetta Farnese, magnifico scrigno dal peso complessivo di 35 chilogrammi che grazie a un recente e complesso intervento di restauro,  ha svelato particolari di grande rilievo finora ignoti, e nuove acquisizioni degli studi sull’opera e sulla figura del suo committente, all’origine di questa mostra.

Intanto, le analisi scientifiche hanno confermato la particolare purezza dell’argento con cui è stata realizzata: in alcune parti, come nelle tre bellissime scene mitologiche presenti nel coperchio o nelle due raffigurazioni all’interno del contenitore eseguite a sbalzo, si apprende che l’argento è puro con valori superiori al 99%; e ancor più preziosa è la lega delle parti realizzate con la tecnica della “cera persa”, in quanto costituita anche da rame e oro. Con questa miscela di metalli sono state poi create le 25 piccole sculture che decorano ogni lato della Cassetta, oltre a tutti gli elementi ornamentali, applicati su una articolata struttura architettonica in miniatura, assemblata con decine e decine di perni, legature, saldature e ribattini, anch’essi in argento purissimo. Tutte le superfici, una volta fuse e decorate, inoltre, sono state ricoperte da uno strato di oro zecchino. Sui fianchi della Cassetta, aggiungono pregevolezza a tali metalli preziosi due tra le pietre più apprezzate e ricercate: i lapislazzuli, proveniente dall’Afghanistan, di intenso colore blu, e il cristallo di rocca, importato dall’Oriente. Quest’ultimo, in sei lastre ovali di particolare purezza e trasparenza, è reso ancor più pregiato dai lavori di intaglio delle superfici retrostanti, eseguiti dall’emiliano Giovanni Bernardi, tra i più celebri e pagati incisori rinascimentali, in stretto rapporto di amicizia con Michelangelo e tutto il suo entourage.

Grazie al meticoloso e complesso smontaggio, per la prima volta, di ogni pezzo dell’opera per il restauro, si è così scoperta anche la serratura segreta della Cassetta – attivabile da un piccolissimo foro nascosto tra le decorazioni – attraverso un sistema di incastri non a vista che garantisce l’assemblaggio delle decine di parti che costituiscono l’opera nonché, elemento di maggior sorpresa, un documento datato 1564 arrotolato in una intercapedine del fondo, forse soltanto come oggetto riempitivo. L’encomiabile lavoro di ripulitura ha così permesso di scrivere nuovi dettagli alla storia dell’oggetto, ora preservato da tecniche innovative con un film trasparente protettivo steso sul capolavoro per bloccare in futuro nuovi processi degenerativi dovuti alla patina del tempo.

Solo dopo queste pazienti e radicali operazioni, molte delle quali eseguite con l’ausilio di microscopio o lenti d’ingrandimento, le decine di differenti fusioni e lamine sono state riassemblate, grazie a numeri e simboli incisi su ogni elemento da Manno Sbarri, il geniale orafo fiorentino al servizio del cardinale Alessandro Farnese: e come cinque secoli fa, il rinnovato splendore della Cassetta Farnese in mostra a Milano – ritenuta un vero unicum per materie e tecniche utilizzate nonché per la complessità della decorazione che invade anche l’interno e persino il fondo – ha riacquistato quell’antico splendore che spinse Giorgio Vasari a scriverne: «non fu mai fatta altra opera con tanta e simile perfezione».
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