Tim Parks star al salone del libro: «La letteratura esalta l'intensità del vivere»

Tim Parks star al salone del libro: «La letteratura esalta l'intensità del vivere»
di Fabrizio Coscia
Sabato 26 Maggio 2018, 11:28 - Ultimo agg. 12:51
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«È incredibile quanto sia stato totalmente rimosso il lato fisico della vita dalla narrativa occidentale. Qualcuno ha scritto addirittura che con il mio libro ho voluto uccidere la letteratura portandovi dentro la realtà del corpo. Mi sembra un'idea delirante».

Tim Parks, scrittore inglese da molti anni trasferito in Italia - a Napoli oggi alla manifestazione «Napoli Città Libro» per presentare il suo romanzo In extremis (Bompiani), alle 20 nella Sala del Capitolo con Francesco de Core - rivendica il suo diritto a raccontare il corpo con le sue impellenze, in un romanzo in cui Thomas, il protagonista nevrotico che deve mettersi in viaggio per correre al capezzale della madre morente, è alle prese con la proctite e i problemi di prostata, che gli rimandano costantemente il dato prevaricante della fisicità.
 

Da dove nasce questa ossessione fisiologica in Thomas e nel suo romanzo?
«Nasce dal suo conflitto con la madre, donna devotissima, religiosa, che nel suo insistere sull'aspetto spirituale della vita ha sempre rimosso il lato fisico. L'impellenza fisiologica in Thomas è così un tipo di opposizione alla madre, è la constatazione che la vita è prima di tutto fisica e che la morte stessa è il trionfo di una tremenda fisicità. Il problema della letteratura occidentale generalmente è proprio in questa rimozione. Bisogna aspettare James Joyce con l'Ulisse, ma anche lì il dato fisiologico è molto poeticizzato. E anche dopo, il corpo che espleta le sue funzioni è rappresentato generalmente solo attraverso il grottesco o il comico, ma questo è ancora una volta un modo per negarlo, per rimuoverlo: è come se quel corpo che caga e piscia non potesse avere diritto di cittadinanza nella letteratura seria».
 
Quanto pesa il passato nella nevrosi di Thomas? Quanto generalmente ci condiziona il nostro passato? Possiamo realmente liberarcene?
«Noi siamo il nostro passato. Cosa possiamo essere se non un accumulo lento di realtà pregresse? Ogni tanto abbiamo l'impressione di potercene liberare, ma poi basta spostarci di poco e si risvegliano vecchi conflitti che si credevano ormai sopiti, come succede a Thomas. In effetti c'è molta meno differenza di quanto si creda tra passato e presente. Possiamo superare il tormento legato a certe esperienze del passato, ma l'esperienza in sé rimane, è sempre presente».

Lei sarà oggi con il suo romanzo al Salone del libro, che a Napoli inaugura dopo molti anni di assenza. Quanto può servire una manifestazione del genere a diffondere la lettura?
«Onestamente non so se può servire. Se guardiamo ai dati, la diffusione enorme dei festival del libro negli ultimi anni coincide con il calo dei lettori. Non voglio dire con questo che i festival siano la causa del calo, ovviamente, ma capiamo che non ne sono un rimedio, né la soluzione. C'è gente che a queste manifestazioni magari compra dieci libri e poi non entra in una libreria per il resto dell'anno, o che ci va per vedere lo scrittore che non ha mai letto. Spesso poi si invitano celebrità o personaggi popolari che non hanno a che fare coi libri per attirare la massa, così da trasformare i festival in un ampliamento della televisione. Non è così che si salverà il mondo. Ma forse il mondo non va salvato».

Siamo alla spettacolarizzazione della cultura. Del resto ci muoviamo sempre più in questa direzione, verso l'intrattenimento di massa. Quali spazi restano per una lettura vera?
«La direzione della nostra cultura non va verso la lettura, inutile illuderci, e soprattutto non verso una lettura di libri di due o trecento pagine. Tutto è così follemente frammentato nella nostra esperienza, che non c'è più spazio per la concentrazione. Persino nei treni, che hanno contribuito tanto anche in Italia alla diffusione della lettura, oggi non si legge più, perché abbiamo gli smartphone o il pc per lavorare».

E dunque, il libro non ha futuro?
«Per chi non è già di per sé un lettore forte la lettura sarà un'esperienza sempre più difficile. Non ha aiutato nemmeno certo buonismo pedagogico del leggere a tutti i costi qualsiasi cosa, la politica di offrire narrativa di genere pensando che potesse fare da traino o da tramite verso la letteratura. Ma non è affatto vero che se mio figlio legge Harry Potter a quattordici anni avrà più possibilità di passare a diciotto verso i libri importanti. L'idea che leggere a tutti i costi sia meglio di non leggere è tutta da discutere. C'è tanta gente che può vivere bene senza leggere libri. Non c'è da andare in crisi o strapparsi i capelli se i nostri figli non leggono. Ed è sbagliato pensare che la lettura in assoluto ci renda migliori e renda i non lettori degli esseri umani peggiori. Dipende anche da ciò che si legge. Per avvicinare alla lettura, piuttosto che propinare libri scadenti o accattivanti, sarebbe meglio parlare invece, ad esempio, di come la letteratura possa aumentare l'intensità del vivere».
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