«Elena Ferrante è Starnone», ecco il segreto del rione Luzzatti

«Elena Ferrante è Starnone», ecco il segreto del rione Luzzatti
di Vittorio Del Tufo
Lunedì 10 Dicembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 09:57
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Questa è una storia di ombre. E memorie di vite passate - volti sfumati, senza più contorno - che rivivono nella trasfigurazione letteraria di un libro, o di una fiction, o nei ricordi dei vecchi del quartiere.

Quel quartiere è il Rione Luzzatti. E le ombre sono di tutti coloro che hanno impregnato - con le loro vite, appunto - i palazzi, i cortili, le strade stesse del rione, costruito nei primi decenni del secolo scorso su un antico terreno paludoso. Terreno dove un tempo scorrevano le acque di un fiume leggendario.

Nei primi anni 50 a frequentare il Rione Luzzatti, a passeggiare per le strade polverose del quartiere, che lambiscono il fascio di binari della stazione centrale, c'era anche un giovanissimo Domenico Starnone. Come ha rivelato al Mattino la cugina dello scrittore, Nunzia Mattiacci, 75 anni, «Domenico da ragazzino frequentava il rione. Veniva spessissimo a trovare i parenti, che abitavano qui... ricordo che aveva sempre con sé un quaderno sul quale disegnava e prendeva appunti di ogni tipo. Eravamo ragazzini, ma non avevamo dubbi sul fatto che da grande sarebbe diventato uno scrittore».
 
Sono bastate queste poche parole per riaccendere i riflettori - proprio nei giorni della messa in onda della serie tv tratta da L'amica geniale - sul caso Ferrante e sulla reale identità della misteriosa scrittrice. Da tempo il nome più accreditato è proprio quello del napoletano Domenico Starnone, autore di Via Gemito, che sarebbe coautore dei volumi insieme alla moglie Anita Raja, traduttrice per la e/o, la casa editrice che pubblica Ferrante. Dopo tante ricerche (anche patrimoniali) e dopo tante analisi incrociate dei testi, ora una nuova traccia, familiare e interna al Rione Luzzatti, porta proprio a Starnone. Il quale, a giudizio dei familiari che ancora vivono nel quartiere dov'è ambientato la storia di Lila e Lenuccia, avrebbe riversato non in uno, ma in ben tre romanzi i volti, le storie e gli intrecci familiari di quel rione. Storie dure, dolorose. Episodi reali del passato presi a prestito e trasfigurati dall'autore - in tandem con la moglie Anita Raja - in una magistrale e labirintica costruzione narrativa.

I tre libri, in ordine di apparizione, sono L'amore molesto, il romanzo (del 92) che ha rivelato il talento di Elena Ferrante, portato sullo schermo con successo da Mario Martone; Via Gemito, vincitore del Premio Strega nel 2001, romanzo in parte autobiografico nel quale la voce narrante (lo stesso Starnone) ricostruisce la vita del padre, ferroviere-pittore, segnata dal rancore e dalla violenza, e Lamica geniale, la tetralogia di cui va in onda proprio in questi giorni su RaiUno la trasposizione cinematografica, con la regia di Saverio Costanzo.
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È proprio con L'amica geniale che il gioco di specchi con l'autobiografia di Starnone (e con la sua infanzia, trascorsa al Rione Luzzatti) prenderebbe corpo in modo più raffinato. In tanti, negli ultimi anni, si sono esercitati a cercare echi e rimandi intertestuali tra l'opera più famosa della Ferrante (L'amica geniale, appunto) e Via Gemito. Innanzitutto la figura del ferroviere-artista, che ricorre in entrambi i romanzi. Il ferroviere-pittore di Via Gemito è Federico Starnone, padre dello scrittore; il ferroviere-poeta dell'Amica geniale è Donato Sarratore, il cui figlio (Nino) altri non sarebbe che l'alter ego di Domenico Starnone. Sulla Lettura del 23 ottobre 2016 Paolo Di Stefano, Simone Gatto e Alessia Rastelli proponevano un suggestivo gioco di incastri: «NINO SARRATORE altro non è che l'anagramma imperfetto di STARNONE. Inoltre la parola SARRATORE si presenta come deformazione acuta e allusiva di NARRATORE, con il cambio della consonante iniziale s per suggerire il sottinteso Starnone che racconta. Con questo stratagemma combinatorio lo scrittore partenopeo sembrerebbe autografare il testo celando tra le righe l'autentica paternità dell'opera» (La Lettura, 23 ottobre 2016).

Sono dunque le memorie familiari, e l'infanzia trascorsa in un rione popolare, a fare da collante tra i diversi racconti. Oggi apprendiamo che parte della sua infanzia Starnone l'ha trascorsa proprio al Rione Luzzatti. «È cresciuto con noi, con i cugini. Aveva un bellissimo rapporto con la famiglia della mamma». I parenti - che negli anni 50 hanno gestito un laboratorio di pasticceria - non hanno dubbi sull'identità di Elena Ferrante (Starnone-Raja) e ricordano l'estrema cura con la quale il futuro scrittore riportava in un quaderno, spesso disegnandole, le «storie» che prendevano vita davanti ai suoi occhi: «Mettevamo in scena delle storie, e lui scriveva i testi». Materia in parte autobiografica che sarebbe stata poi riversata non solo nel ciclo dell'Amica geniale, ma anche in Via Gemito e nell'Amore molesto. Sarebbero spuntate in passato anche alcune incomprensioni in famiglia, perché nel gioco di specchi tra finzione e realtà lo scrittore avrebbe messo in piazza, per così dire, anche storie, vicende e intrecci familiari che, forse, dovevano rimanere segreti.

Gli anziani del rione difendono gelosamente i segreti di cui sono custodi.

Qualcuno, però, prende parte al gioco dei rimandi facendo notare che tanto nei libri di Starnone quanto in quelli della Ferrante si fa riferimento, e in modo non esattamente benevolo, a una famiglia di pasticcieri. Nell'Amica geniale, in particolare, la famiglia che gestisce il bar pasticceria del rione (famiglia Solara) assurge al ruolo di protagonista, e, come sanno bene gli appassionati del libro (e della serie tv), è al centro di un giro di camorristi e strozzini: con la morte di don Achille Carracci, l'orco delle favole, la famiglia che gestisce il bar pasticceria si prende, di fatto, tutto il quartiere. La figura del pasticciere (un pasticciere-orco) è centrale anche nell'Amore molesto: «Dovetti cedere - racconta Delia, la protagonista - e ammettere che l'uomo che mi diceva vieni in fondo ai tre gradini dell'interrato era il venditore di coloniali, il vecchio cupo che fabbricava gelati e dolci, il nonno del piccolo Antonio, il padre di Caserta» (pp. 162-63). Mentre in Via Gemito il padre del protagonista, il ferroviere-pittore, non lascia tregua ai familiari della moglie colpevoli di aver «usato i suoi guadagni per avviare una pasticceria meglio del grande oste e pasticciere Pintauro». Il gioco degli specchi, insomma, continua: tra letteratura e realtà, sono ancora molte le verità da scoprire.

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