La Grande guerra: quando la Cirio
faceva le granate al posto dei pelati

La Grande guerra: quando la Cirio faceva le granate al posto dei pelati
di ​​Massimo Novelli
Domenica 25 Novembre 2018, 09:44
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La Grande Guerra 1914-1918 non fu soltanto la prima guerra totale dell’era moderna e un’immane carneficina con almeno dieci milioni di morti, peraltro una cifra approssimativa, tra i quali circa 650.000 soldati italiani. 
Fu un affare considerevole per diversi gruppi industriali, che si accaparrarono le commesse belliche. Basti pensare che, alla fine del conflitto, la Fiat di Torino era passata da 4.000 addetti a 40.000, e l’Alfa Romeo di Milano da 50 operai a 40mila. 
Nell’economia di guerra ebbero una parte e un profitto, sia pure inferiore a quello delle aziende meccaniche, chimiche e della gomma, anche le industrie alimentari. Come la Barilla di Parma, per esempio, e la Cirio di San Giovanni a Teduccio e di Castellammare di Stabia, che si trovò a fornire i ranci per la truppa ma pure le granate per il fronte, collocate nelle stesse scatole di latta utilizzate per il pomodoro e per le razioni di carne.  
A ricostruire il ruolo e il boom delle industrie italiane nel corso della prima guerra mondiale, tra cui le vicende belliche della Cirio, è il ricercatore Andrea Pozzetta, curatore del volume Industriarsi per vincere. Le imprese e la Grande Guerra Pubblicato in queste settimane da Interlinea (pagine. 206, euro 30), con un’introduzione dello storico Alessandro Barbero. Attraverso documenti, immagini, cartoline e fotografie d’epoca, il libro descrive quello «straordinario sforzo tecnico e produttivo» che vide «impegnate officine, manifatture, grandi e piccole aziende in una mobilitazione industriale senza precedenti». 
La Società Generale delle Conserve Alimentari Cirio, creata nel 1875 dal piemontese Francesco Cirio e poi trasferita in Campania perché «a diretto contatto con i produttori di pomodori San Marzano», poteva contare, quando l’Italia nel 1915 entrò in guerra, su macchinari molto sofisticati, in grado di unificare in una sola soluzione le varie fasi della lavorazione del pomodoro da inscatolare. 
La Cirio si dedicò allora, annota Pozzetta, «alla produzione dei ranci militari: carne e pesce in scatola, sughi pronti a base di pomodoro e lardo». 
Ma la tecnologia di inscatolamento degli impianti Cirio era «talmente efficace e sicura», scrive il curatore del libro, «da venire convertita dal Genio per la produzione di granate, con scatole di latta in origine destinate a conservare alimenti riempite di polvere da sparo e proiettili». Dalla conserva alle bombe, insomma. 
Nel 1918-19, a guerra terminata, azzerata «la richiesta di scatolame per l’esercito», la crescita della Cirio, tuttavia, non si fermò. Ciò avvenne, afferma Pozzetta, grazie alla «propria vocazione internazionale» e al rilancio del «marchio per il mercato nazionale», adeguato al mutamento dei consumi domestici.
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