«È pentito, ma spara al cognato e minaccia 14enne con la pistola»

«È pentito, ma spara al cognato e minaccia 14enne con la pistola»
di ​Mary Liguori
Venerdì 20 Ottobre 2017, 12:13 - Ultimo agg. 21 Ottobre, 06:59
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La mossa a sorpresa della difesa, sebbene non cambi lo status di pentito e i benefici che ne derivano per Attilio Pellegrino, getta indubbiamente un’ombra sulla credibilità di uno dei pentiti che puntano l’indice contro l’ex sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo, accusato di aver messo il Comune a disposizione del boss Michele Zagaria.

Dopo il pentimento, Pellegrino scappò dalla località protetta, sparò contro un suo cognato e, successivamente, schiaffeggiò un minorenne tenendolo sotto tiro con una pistola.

Episodi in parte già noti, in parte sviscerati ieri durante il controesame del collaboratore di giustizia che è inciampato sotto le domande del penalista Carlo De Stavola che, insieme a Francesco Picca, difende Griffo.

Pellegrino ha negato il secondo episodio ed ha sempre attribuito alla sua fuga dalla località protetta un movente diverso da quello ricostruito ieri in aula, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove si sta dibattendo il processo «Jambo», incardinato sulle presunte infiltrazioni della malavita nella realizzazione del centro commerciale di Trentola Ducenta.

Dopo aver confermato, durante l’interrogatorio del pm Catello Maresca, di avere «raccolto voti per Griffo», il pentito collegato in videoconferenza con il palazzo di giustizia, è stato sottoposto alle domande del difensore di Griffo e, in venti minuti, sono emersi due inquietanti episodi risalenti al periodo immediatamente successivo al suo pentimento. Ma andiamo con ordine.

L’avvocato De Stavola ha chiesto al collaboratore se avesse commesso reati dopo essere passato a collaborare. Non senza imbarazzi, Pellegrino ha ammesso di avere esploso alcuni colpi di pistola contro il cognato ma ha «giustificato» il raid riferendo che tornò a Villa di Briano «perché la mia famiglia non voleva che mi pentissi».

Diverso, a dire della difesa di Griffo, il movente che armò la mano del pentito. «Sparò per questioni di soldi e successivamente assunse atteggiamenti violenti per lo stesso motivo, recandosi in un’autoconcessionaria e schiaffeggiando il figlio 14enne del titolare tenendolo sotto tiro con una pistola». Secondo l’avvocato di Griffo, «esiste un video di questo grave episodio» ed è stato depositato nel processo istruito in merito alla vicenda. 

La ricostruzione dei due episodi, che ha portato anche il collegio a fare domande al pentito, è funzionale alla difesa perché i fatti risalgono al periodo successivo i 180 giorni canonici durante i quali i collaboratori di giustizia sono tenuti a raccontare ai magistrati tutto ciò di cui sono a conoscenza. E, di Michele Griffo, il pentito Pellegrino parla solo nel 2015, due anni dopo la scelta di passare a collaborare e l’anno successivo i due raid di cui, da pentito, si è reso protagonista.

La mossa della difesa punta, come detto a minare l’attendibilità del collaboratore di giustizia e, allo stesso scopo, l’avvocato di Griffo ha chiesto al collaboratore di elencare i nomi delle persone che, a suo dire, l’hanno aiutato a raccogliere voti in occasione delle campagne elettorali. Vaga la risposta di Pellegrino che dei presunti «collettori» di voti per l’ex sindaco ha saputo riferire solo nomi di battesimo, qualche soprannome e nessun cognome. 

Dopo Pellegrino, la parola è passata al pentito Francesco Cantone. Per ora il collaboratore ha ricostruito la genesi dei suoi rapporti con Michele Zagaria. L’esame del pm e il controinterrogatorio dei difensori continueranno nella prossima udienza. Si torna in aula ai primi di novembre. 
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