La lettera del testimone di giustizia:
«Denunciai ma senza aiuto Landolfi»

La lettera del testimone di giustizia: «Denunciai ma senza aiuto Landolfi»
Giovedì 19 Luglio 2018, 12:49 - Ultimo agg. 17:25
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La sua denuncia segnò l'inizio dei declino del potente clan La Torre di Mondragone, ma anche la fine della sua vita da uomo libero. Francesco Paolo è l'imprenditore di Mondragone che nel 2001 denunciò ai carabinieri il tentativo di estorsione subita dal camorrista Michele Persechino, stretto collaboratore del boss Augusto la Torre (allora già detenuto), per conto del quale raccoglieva le tangenti dagli imprenditori del luogo; Persechino fu arrestato e si pentì dando un duro colpo al clan, mentre Paolo dovette chiudere il caseificio e cambiare residenza perché inserito nel programma di protezione. La storia del testimone di giustizia Francesco Paolo è tornata alla ribalta qualche giorno fa durante il processo in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere in cui è imputato per presunti il legami con la camorra l'uomo politico mondragonese Mario Landolfi, ex parlamentare ed ex ministro delle telecomunicazioni nonchè esponente di spicco a livello nazionale di An e Pdl.

Durante l'udienza è stato sentito come teste della difesa il presidente dell'Anac Raffaele Cantone, che nel 2002 era pm della Dda di Napoli, che ha affermato che l'arresto di Persechino «segnò il declino del clan La Torre, un clan che la Dda seguiva con grande attenzione». Una deposizione, quella di Cantone, che però non ha trovato concorde l'imprenditore, specie nella parte in cui l'ex pm ha affermato che il suo intervento era stato sollecitato da Mario Landolfi, che lo aveva contattato per parlargli di un imprenditore suo concittadino cui era pervenuta una richiesta estorsiva. «Su mio consiglio - ha affermato Cantone - l'imprenditore denunciò il suo estorsore ai carabinieri, che lo arrestarono».

In una breve lettera, Paolo dà la sua versione dei fatti. «La mia denuncia scaturì solo e soltanto dalla mia autonoma decisione e dal mio senso di giustizia, senza alcun contatto o incoraggiamento esterno alla mia famiglia. Nel 2001 mi sono recato alla stazione dei carabinieri di Mondragone, e ho sporto denuncia per tentativo di estorsione; iniziò cosi la mia collaborazione con le forze dell'ordine, che portò all'arresto di Michele Persechino nel mio caseificio. L'arresto non fu eseguito sotto il coordinamento di Cantone, ma da Luigi Landolfi, pm a Santa Maria Capua Vetere. Solo dopo il suddetto arresto subentrò nella questione la Dda sotto la direzione di Cantone. Quindi è impossibile che l'onorevole Landolfi abbia parlato di me con Cantone prima della mia denuncia. Ringrazio ancora Cantone per il suo personale incoraggiamento che seguì. Io non voglio remare contro nessuno, ma è necessaria stabilire la verità dei fatti». Paolo denuncia poi di essere stato abbandonato dallo Stato. «Avrei dovuto avere una vita uguale a quella di prima, ed invece no - afferma - ho perso il caseificio perché lo Stato non ha trovato un amministratore, sono uscito dal programma dopo un anno e mezzo perché non potevo continuare una vita del genere, che non è vita, ma dopo nessuno ci ha più aiutato. Ho chiesto il  risarcimento allo Stato ma mi hanno sempre risposto picche perché le mia domande, dicevano, sono state presentate fuori termine. A Mondragone torno di nascosto, però non si metta in discussione ciò che ho fatto nel 2001 quando nessuno denunciava», conclude l'imprenditore.

Dallo staff di Cantone viene fatto notare che «come testimone e ancor più come magistrato, il presidente dell'Anac conferma tutto quanto detto davanti ai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere» e che «tutto ciò che è stato affermato durante la sua deposizione può naturalmente essere provato».
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