Felicori: «Sistemo Terrae Motus e lascio la Reggia»

Felicori: «Sistemo Terrae Motus e lascio la Reggia»
di Davide Cerbone
Martedì 7 Agosto 2018, 12:55
5 Minuti di Lettura
Meno di tre mesi all'ultimo giorno, eppure Mauro Felicori parla e progetta come se l'addio a Caserta fosse lontanissimo. E all'ultima curva, mentre sta per tagliare il traguardo della pensione, invece di voltarsi indietro spinge ancora lo sguardo in avanti.

Felicori, lei è arrivato a Caserta nell'ottobre dei 2015. Facciamo un bilancio di questi tre anni.
«Il mio ultimo giorno sarà il 31 ottobre, ma fino ad allora voglio lavorare a spron battuto. Nei prossimi giorni annunceremo il cantiere da 20 milioni per il rifacimento del tetto, di altre facciate e del parco, dove c'è tutto da sistemare: dalle fontane alla parte botanica, ci sono da recuperare vent'anni di scarsa manutenzione. Ma considero importantissima anche la vita quotidiana della Reggia: le pulizie, la manutenzione ordinaria, il decoro. Tre anni fa questo era un posto abbandonato, sconosciuto. Ora tutti vogliono venire, abbiamo più che raddoppiato gli incassi per gli eventi, passando da 250mila a 600.000 euro l'anno. Lo stesso con i visitatori: eravamo a 430.000, l'anno scorso ne abbiamo fatti 830mila e conto di chiudere il 2018 a 900.000. Avevo promesso di raggiungere il milione: quel traguardo lo raggiungerà qualcun altro. Però gli lascio un bel bottino».

La sua direzione è stata segnata da alcuni passaggi chiave. Tra questi, la battaglia contro i dipendenti assenteisti. Quanto sono cambiate le dinamiche interne alla Reggia?
«Una parte importante del personale mi è stata accanto in questa voglia di rinascita, sono orgoglioso di aver trasmesso loro un metodo di lavoro, anche se restano delle sacche attive di resistenza. Per ora il cambiamento si è basato su aspetti morali: sul mio esempio, che è stato seguito da tanti, e su un certo orgoglio collettivo. Ma questo non basta. Serve una riforma dei contratti del pubblico impiego che dia ai direttori un potere reale sul personale. Però la lotta ai dipendenti che non lavoravano ha segnato l'inizio di una nuova stagione. Fino ad allora tra i lavoratori c'era un sacco di gente che stava bene. Era la Reggia che stava malissimo. Basti pensare che faceva 430.000 visitatori l'anno mentre Versailles ne fa oltre 7 milioni».

Un obiettivo troppo alto per Caserta?
«Beh, in mezzo ci sono un sacco di numeri intermedi. Una cosa è certa: quando vedi gli incrementi vuol dire che i nuovi direttori sono bravi, ma anche che vigeva una concezione non produttiva, quasi parassitaria del bene culturale».

In Italia anche il sistema dei Beni culturali è a due velocità?
«Nel pubblico le cose funzionano un po' meglio al Nord, si sa. E anche sul turismo i numeri del Nord sono ancora molto superiori. Il problema è che al Sud un patrimonio culturale e paesaggistico enorme e meraviglioso non è sfruttato con una mentalità industriale. La sfida che mi ha appassionato sin dal primo giorno è stata proprio questa: far diventare quei beni lavoro e ricchezza».

Cos'altro lascia di buono?
«L'accordo con il Consorzio per la tutela della mozzarella di bufala, che ha trovato sede in un locale della Reggia la cui ristrutturazione è costata alcuni milioni. E poi la riapertura al pubblico della meravigliosa Aperia, dove si conclude Un'estate da Re con il concerto di Kaufmann. Se fosse accaduto a Roma o a Milano, ne avrebbe parlato tutta l'Italia. Ma ci sono tanti altri posti da valorizzare: li lascio al mio successore».

A proposito: chi potrebbe essere?
«Non ne ho la minima idea. Spero, però, che il ministro continui sulla linea di Franceschini, scegliendo i direttori con selezioni pubbliche e commissioni autorevoli. Se si garantisce il merito, quelli bravi arrivano».

Per la mostra «Terrae Motus» è arrivato anche l'appello del vescovo emerito Nogaro: resterà alla Reggia?
«Terrae Motus non lascerà mai la Reggia. Abbiamo una situazione provvisoria, alcune criticità le risolverò subito allargando gli spazi, migliorando luci e installando telecamere. E intanto daremo a un grande progettista internazionale il compito di disegnare la collocazione definitiva, ristrutturando gli stessi locali in cui si trova ora. Voglio che questa sia l'ultima cosa che faccio prima di salutare».

Il ministro Bonisoli ha detto basta alle domeniche gratis imposte dal Mibac. Che cosa ne pensa?
«Plaudo alla posizione di Bonisoli: il fatto che un ministro tenga conto delle mie esigenze è una novità molto importante. Non ha senso far entrare la gente gratis in primavera, quando nelle domeniche a pagamento raggiungiamo già il pienone».

Mi dice un pregio e un difetto della riforma Franceschini?
«La riforma Franceschini aveva un solo grande difetto: è incompiuta. Primo, perché i cosiddetti super direttori hanno un personale che non dipende da loro: se avessi vera autonomia, ad esempio, ne assumerei subito altri venti. Secondo, perché il percorso dell'autonomia dei musei si è fermato troppo presto, bisognava avere più coraggio. Posti come Palazzo Reale o la Certosa di San Martino dovrebbero stare da soli. E i piccoli, invece di stare nei Poli museali, andrebbero aggregati ai grandi musei».

Sul crollo alla Reggia gli ispettori del Mibac hanno parlato di «carenze e omissioni», mentre il ministro Bonisoli ha detto che i responsabili devono pagare. Lascia con l'amaro in bocca?
«Senza dubbio. Trovo che la relazione degli ispettori sia stata ingiusta nei confronti miei e dei miei collaboratori. Non ci sono state né carenze né omissioni, semplicemente ci sono cose che non si possono prevedere».

Cosa farà dal primo novembre?
«Non ho intenzione di passare il tempo ai giardinetti. Mi aspetto che qualcuno mi offra un lavoro nell'ambito dei beni culturali. E se vedrò posizioni interessanti, mi candiderò».

Come aveva fatto per il Cda Rai.
«Sì, mi sarebbe piaciuto molto dare il mio contributo ad una grande industria culturale. Per il resto, non ho vergogna di mettermi in gioco. Chissà, magari da Caserta potrei venire a Napoli: ormai ci ho preso gusto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA