Casalesi, super boss contro:
Zagaria a Iovine: «Falso pentito»

Casalesi, super boss contro: Zagaria a Iovine: «Falso pentito»
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 23 Marzo 2018, 22:58 - Ultimo agg. 24 Marzo, 07:04
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Se non siamo alla resa dei conti, poco ci manca. Un fatto è certo: l’antico sodalizio, l’amicizia tra Michele Zagaria e Antonio Iovine costruita su complicità, sangue e violenze, non esiste più. Lo dimostra un documento riservato oggi nelle mani dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. Una relazione firmata da un ispettore in servizio nel supercarcere milanese di Opera, dove Zagaria è recluso in regime di isolamento. Dopo aver inscenato il 10 febbraio un nuovo tentativo di suicidio, l’ex superboss di Casapesenna si è abbandonato ad un lungo sfogo raccolto dagli uomini della Polizia penitenziaria ed oggi qualificato agli atti come «dichiarazioni spontanee». Quattro pagine fitte che riportano le frasi dell’uomo che sedeva in vetta alla «cupola casalese» che oggi non esiste più.
L’affondo. Ci va giù duro Zagaria, quando parla del suo ormai ex amico e alleato. Da collaboratore di giustizia Iovine ha d’altronde già più volte accusato (anche in aula) Michele Zagaria. «Contrariamente a me - dichiara Capastorta - lui ha intrapreso la strada della collaborazione, ma lo sta facendo in maniera non coerente dato che non si è mai accusato di cinque omicidi che ha commesso, non ha mai fatto trovare né restituito i soldi frutto dei suoi proventi malavitosi: ancora oggi, mentre è in corso un processo che mi vede imputato di estorsione, reato che non ho commesso, Iovine non ammette di avere intascato lui una tangente di un miliardo e 300 milioni di vecchie lire, che poi reinvestì nelle attività del Polo calzaturiero...».

 
«Ma se è realmente pentito - si legge ancora nella relazione che riporta le parole di Zagaria in carcere - Iovine deve dire tutta la verità, deve narrare anche i misfatti che lo riguardano in prima persona. E restituire tutti i proventi illeciti che sono frutto dei malaffari in cui era coinvolto. Invece questo non lo fa, e per di più gode anche dei benefici previsti dalla legge... Io non ho alcuna intenzione di pentirmi: perché un “vero pentito” deve restituire tutto, anche le mutande se non se le è guadagnate in maniera onesta».
L’invettiva contro i pentiti. Spavaldo, arrogante, a tratti addirittura minaccioso. Dal rapporto firmato dall’ispettore Pierangelo Lombardi emerge un ritratto a tinte forti del boss che si sente un leone in gabbia, denunciando «vessazioni» e «abusi» le cui uniche finalità - sostiene - sarebbero quelle di indurlo a collaborare a sua volta con la giustizia. «Citando i giudici Falcone e Borsellino - scrive ancora l’ispettore - Zagaria menziona il pentito Giovanni Brusca (il mafioso che schiacciò il pulsante del telecomando che scatenò la strage di Capaci, ndr) e che poi diventò collaboratore di giustizia: aggiungendo che lo Stato, “anziché trattarlo come realmente avrebbe meritato un simile criminale, lo avrebbe persino assecondato in alcune cose”».
L’ammissione. Che altro ha rivelato Zagaria? «Nel citare la posizione di Antonio Iovine ha affermato che in occasione della realizzazione del centro commerciale Jambo, trovandosi in floride condizioni economiche e non avendo egli bisogno di liquidità, investì parte dei suoi capitali nell’ipermercato». Dichiarazioni subito acquisite dal pm della Dda Maurizio Giordano, che ha intenzione di citare in aula come testimone l’ispettore della penitenziaria in servizio a Opera il 10 febbraio scorso.
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