Terra bruciata

Terra bruciata
Sabato 21 Ottobre 2017, 12:53
1 Minuto di Lettura
L’emigrazione cruda, senza fraintendimenti né sentimentalismi. La fuga, di notte, i pericoli, e soprattutto il dolore. Così il messicano Emiliano Monge la racconta, facendone un coro, composto da lamenti che si disperdono in “Terra Bruciata” (La Nuova Frontiera). Cuce voci e storie, paure e speranze, e il risultato è un romanzo anomalo, forte, che ha l’espressività della scrittura teatrale (che è anche l’unico difetto). I dialoghi sono serrati, le descrizioni secche, e soprattutto non c’è né tremendismo né compiacimento, c’è la vita, nuda, trasportata a ridosso di una frontiera tra violenza e ricostruzione. Monge porta il lettore a sentire il freddo della notte, l’estremità dell’esistenza. «Il dolore è la testa, non il corpo». Si salta tra vittime e carnefici, trafficanti e trafficati, in una odissea di terra e piedi, corpi e pensieri. Non c’è pietà, non ci può essere, però c’è un lungo frammentato elenco delle aspettative dei migranti. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA